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Bronzi di Riace o 5 stelle? Son rimaste 2 facce di bronzo

Maurizio Crippa

L’archeologia può restituirci il senso della realtà presente, anzi persino il senso della politica

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Nel giorno in cui una svalvolata turista con cappellino (in questa estate 2020 c’è solo da sperare sia italiana, sennò poi li sentite voi le Santanchè è gli Sgarbi) si arrampica in cima agli scavi di Pompei per fare una foto panoramica, e Dio non voglia un selfie. Nei giorni in cui Tomaso “Tom-Tom” Montanari gira la Penisola alla ricerca di sassi da salvare, da lasciare inamovibili e preservare dalle mani del mercato e della cultura di massa; nell’agosto in cui, insomma, quel che è arte e storia sembra ahinoi solo un impiccio per imbelinati, ecco che riscopriamo che l’archeologia può restituirci il senso della realtà presente, anzi persino il senso della politica.

 

Merito del bravo professore Daniele Castrizio, professore ordinario di Numismatica greca e romana all’Università di Messina, che ci ha finalmente spiegato i segreti dei Bronzi di Riace. E, ohibò, abbiamo capito qualcosa anche di Cinque stelle.

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Dunque. All’inizio erano cinque, e non due. Ed erano uno più bello figo dell’altro, anzi biondi e dorati come le famose stelle. Qualche pirla li fece approdare a Roma, ma poi – vedi come cambiano le alleanze – qualcun altro pensò di rispedirli in oriente, più adatto a certe loro anime levantine. Ma affondarono. E a parte il sospetto che a trafugare gli altri tre sia stato qualche antenato di Salvini già sceso in Calabria, resta che oggi, 2020, di tutta quella roba, delle cinque stelle magnifiche, sono rimaste due facce di bronzo.

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