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Raffaello aveva la faccia di Raffaello o l’inutilità del 3D

Maurizio Crippa

Non si capisce perché fosse così necessario impegnare tempo e soldi per ricostruire la veridicità del volto del genio di Urbino

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Se proprio non riuscite a togliervi i dubbi amletici che certamente vi attanagliano da quel dì, avete la super occasione dell’ultimo weekend per fugarli, perché la mostra alle Scuderie del Quirinale sarà aperta non stop acca 24, dal 28 al 30 agosto. Ci sono due autoritratti, peraltro arcinoti, per verificare che è proprio lui e il suo volto era proprio così. Raffaello. C’è anche una ricostruzione della sua tomba, che progettò da sé medesimo e sta al Pantheon (ingresso libero), con sopra l’aforisma che scrisse in morte di lui Pietro Bembo. Se c’è una tomba al mondo di cui si era perfettamente già sicuri del contenuto, è quella del genio di Urbino. Poi esiste il digitale e la tecnologia 3D, ma ben non si capisce, di fronte ai Grandi Dilemmi della Cultura, perché fosse così necessario, per il Centro di antropologia molecolare per lo studio del Dna antico del dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata, impegnare tempo, fatica e soldi per ricostruire in 3D, attraverso il calco in gesso del cranio di Raffaello realizzato nel 1833 e successiva comparazione con i mortali resti, che quello era proprio il volto di Raffaello. Che è uno dei volti più noti e pure autografi della storia dell’arte, e al suo funerale c’era tutta Roma, Papa Leone compreso. La scienza e la tecnologia e pure l’antropologia storica sono una cosa fantastica. Ma applicarli a qualcosa di più utile, e meno somigliante alla celebre mappa in scala 1:1 di Borges, duplicare per saperne quanto prima, non è meglio?

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