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Non conta se la app è rosa o azzurra, ma se scova il virus

Maurizio Crippa

Che Immuni funzioni importa meno della scorrettezza di genere del logo

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Non abbiamo ancora fatto in tempo a verificare se la app Immuni funziona oppure no – che sarebbe poi l’unica cosa che conta, secondo il brocardo di Deng Xiaoping – però il primo bug lo abbiamo già scovato e sistemato. Il logo che mostrava una sagoma femminile con pupo in braccio e una maschile che limona col laptop è stato sostituito, con la rapidità di uno starnuto contagioso, da uno in cui le funzioni sociali sono ribaltate. Non bilanciate, come pure si dovrebbe, ma ribaltate. Perché la banalità del senso comune, quando esplode sui social, non ha argini.

 

Che Immuni funzioni importa meno della scorrettezza di genere del logo. Certo, tenuto conto che per partorire la app (mannaggia, le metafore sessiste sgusciano ovunque) ci hanno messo tre mesi, che sbagliassero logo era il minimo. Contro il sessismo implicito si sono scatenate molte donne e alcune, non proprio tutte, con commenti intelligenti, ça va sans dire. Sebbene la cosa valga meno della democrazia in America o a Hong Kong. Ma pure i maschietti si sono buttati, non sia mai.

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Persino un politico di alta produzione libraria come Enrico Letta, manco fosse colpa di Renzi. Il che dimostra più che altro questo: che la pulsione a schierarsi dalla parte vincente della lingua è irrefrenabile. Ora che il logo è a posto, dovremmo occuparci di altro: il lockdown non ci ha resi migliori, almeno nell’idolatria dei nostri pregiudizi tardo politicamente corretti. Ci aiuterà forse il bug dell’ironia di un prete (maschio, ops) twittarolo come don Dino Pirri: “Ho scaricato #ImmuniApp. Ma non riesco ad attivare la funzione per fare il #paptest”.

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