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Italia, un bel canto

Maurizio Crippa

Ci siamo commossi tutti, pure i sordi o gli stonati come me, sentendo dai social la gente di Siena cantare in coro dalle finestre. E poi le voci e le canzoni nella notte illuminata di Napoli. Siamo ancora un popolo, noi italiani

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Ci siamo commossi tutti, pure i sordi o gli stonati come me, sentendo dai social la gente di Siena cantare in coro dalle finestre nella strada vuota e buia. E poi le voci e le canzoni nella notte illuminata di Napoli. Spontanei, anche prima che partissero i flash mob. Ma più ancora i senesi, perché cantavano in coro. Tutti quanti usiamo la radio, o Spotify, per “sentirci cantare”. Abbiamo dimenticato cosa significa cantare insieme, vincendo magari il nostro falso pudore. Invece cantare, non soltanto sotto la doccia ma insieme, in coro, con una voce sola, è il fondamento di un popolo, di una civiltà. Significa condividere la propria voce, persino poco intonata, metterla a disposizione per fare di tutte una voce comune, che non è più la mia, o quella di altri che cantano, ma è nostra, di tutti. E’ la base di una comunità e di ogni cultura, prima ancora dei libri letti o dei musei visti. I canti che trascendono le nostre distanze sono il lievito per essere popolo. A ogni latitudine. Hanno cantato anche i cinesi con il virus e cantano in Siria, in chiesa, sotto le bombe. Abbiamo cantato. Siamo ancora un popolo, noi italiani. Che commozione.

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