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C’è un virus agli Uffizi

Maurizio Crippa

Il museo fiorentino ha concesso in prestito il Leone X di Raffaello alle Scuderie del Quirinale. L’intero Comitato scientifico si è dimesso

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C’è un virus anche più grave del simpatico corona, se non altro perché circola tra le opere d’arte e resiste da decenni, non c’è zona rossa che tenga: è il virus della tigna denominata “giù le mani dai miei quadri o mi dimetto”. Inattaccabile da ogni evidenza scientifica e da ogni buon senso culturale. Gli Uffizi hanno concesso in prestito il Leone X di Raffaello alle Scuderie del Quirinale per la grande mostra che aprirà in marzo per il cinquecentenario del pittore. Prestito giusto e sacrosanto. “Rivendico pienamente il patriottismo di questa decisione”, ha detto Eike Schmidt, il direttore, che è tedesco ma è brillante e più fiero dell’Italia di tanti nostri polverosi studiosi. Che infatti, portatori insani del virus localista-museale, si sono dimessi: l’intero Comitato scientifico degli Uffizi. Guidato dal paziente zero, Tomaso Montanari: sono offesi perché lavoravano da mesi alla lista delle opere da rendere inamovibili dagli Uffizi. Tra cui il famoso Raffaello. Il motivo per cui un tale capolavoro non possa andare nella Capitale, nonché ex città dei Papi, per la mostra che celebra Raffaello, la Capitale e il Papa (fiorentino) Leone X, non è pervenuto, semplicemente non esiste. Anche perché, come ha spiegato Schmidt, il quadro è in perfette condizioni, appena restaurato e in grado di viaggiare, come conferma anche l’Opificio delle pietre dure. Ma niente, secondo i luminari il prestito non s’ha da fare, sennò loro sono lì per cosa, per pettinare le bambole? A costo di rovinare una mostra che darà lustro all’intera nazione. A costo di dimettersi tutti. Presto, trovate un vaccino.

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