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La metafora delle sardine e la realtà politica delle orche

Maurizio Crippa

I giornali hanno raccontato con passione le vicissitudini dei cetacei nel porto di Pra’. Anche il movimento ittico che riempie le piazze se ne andrà via?

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Forse abbiamo un po’ sottovalutato questa storia significativa, puro simbolismo, delle orche che dal primo dicembre hanno abitato come epifanie le acque del mare di Genova, precisamente il porto di Pra’, e che invece ha acceso la fantasia di tanti giornali. Sarà che, in epoca di sardine, l’attenzione ci cascava più di lì, sui pesciolini che non sui cetacei. Un errore cui rimediare, ora, nel momento in cui questo evidente messaggio che madre natura ci ha donato per ravvederci sta per inabissarsi lontano. Andiamo per ordine. Vengono dall’Islanda e hanno percorso più di 5.000 km per specchiarsi di fronte a Voltri, de gustibus. Un cucciolo è malato. Anzi muore. Struggente, Rep. scrive, il 6 dicembre: “Se le orche non lasciano Genova è per lo straordinario amore di una madre. L’orca femmina continua a trascinarlo con l’infinita speranza che prima o poi si riprenda” (che fa molto “sono un’orca, sono islandese, non me lo potete togliere”). Poi, il 9, Rep. è costretta a capitolare: “Mamma orca si è arresa e ha abbandonato il cucciolo morto”. E ieri, dopo tanto attaccamento al mare di Pra’, tanto insegnamento sul senso della famiglia, tanta sublimazione del tutto in una metafora della buona politica, e della convivenza che senz’altro le orche erano venute a portare, bissando le sorelle sardine, ecco l’irreparabile: “Le orche hanno lasciato Genova. Si stanno dirigendo verso ovest”. E per unirci alla generale costernazione, viene da domandarsi: e quando ad andarsene per i cazzi loro saranno le sardine?

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