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Babbo Natale e la Coca

Maurizio Crippa

Monsignor Pompili ha deciso di buttarsi un po’ più a sinistra pure di Bergoglio e ha detto che tutto il male, circa al presepio, è colpa della bevanda gasata

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"Il Natale, quando arriva arriva", diceva una vecchia réclame. E noi, della razza pre pasoliniana che il presepe in casa lo facciamo tutti gli anni, anche senza bisogno che ci arrivi a scuola la circolare da un’assessora regionale, ecco noi siamo della razza che lo aboliremmo: non il presepe, ma proprio il Natale. Per un senso di sfinimento. Per un non poterne più di spiegare i distinguo tra la nostra festa santa e “la nostra identità culturale e le nostre tradizioni” (l’assessora piemontese, indovinate di che partito è: no, non la Lega, quello un po’ più a destra) e quelli per cui è soltanto un Black friday in ritardo quando gli sconti sono già finiti. E per fortuna che allora il Papa buono Francesco annuncia che andrà a Greccio, provincia di Rieti, là dove tutto cominciò, riguardo al presepe, con san Francesco, nel 1223. E invierà anche una lettera, per spiegare a “tutto il popolo credente” il significato di quel gesto (trattasi di gesto).

 

Però, noi della razza post pasoliniana che delle cultur war ne abbiamo le zampogne piene, lo aboliremmo lo stesso. Se non altro perché c’è il vescovo di Rieti, dove sta Greccio, monsignor Domenico Pompili, che prima era portavoce della Cei, che per non saper né leggere né scrivere ha deciso di buttarsi un po’ più a sinistra pure di Bergoglio, il callejero, e ha detto che tutto il male, circa al presepio, è colpa della Coca-Cola, perché come ognun sa “la reinvenzione del Natale a opera della Coca-Cola in America” è peggio del peccato originale, di “questo processo che ha trasformato il Bambinello in Babbo Natale”. Che a ’sto punto niente, noi della razza che non ne possiamo più manco di Pasolini, ci vien voglia di crederci, a Babbo Natale.

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