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Il giudice e il dress code

Maurizio Crippa

Ieri il gip di Milano ha archiviato il procedimento per stalking e violenza privata a carico del bizzarro consigliere Bellomo. Perché può sembrare strano, ma un comportamento relazionale per quanto moralmente riprovevole non determina per forza un reato

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Francesco Bellomo, ex Consigliere di stato ed ex gestore di una scuola di formazione per preparare ai concorsi in magistratura, a qualcuno piace e a qualcuno no. A me no, non ci berrei manco uno spritz, ma capisco di essere in questo un privilegiato. E’ comprensibile che alle studentesse dei suoi corsi, le quali hanno invece dovuto farselo piacere, possa piacere anche meno il gip di Milano, che ieri ha archiviato il procedimento per stalking e violenza privata a carico del bizzarro consigliere, nato su denuncia di quattro giovani che si erano iscritte ai suoi corsi. Fra le varie accuse c’era anche quella, ricorderete, di imporre un “dress code” alle sue allieve. Il gip ha di Milano che giudicato che, seppure “molte delle richieste rivolte alle borsiste appaiano incoerenti con quelli che sono i normali caratteri di un rapporto di collaborazione accademica, non può ritenersi che le stesse valgano ad integrare una condotta abituale di molestia e minaccia”. Perché può sembrare strano, ma un comportamento relazionale per quanto moralmente riprovevole non determina per forza – o non ancora ma prima o poi ci arriveranno – un reato. La nota meno mainstream è questa: “Nessun comportamento volto a coartare la libertà morale delle studentesse può infatti essere ravvisato nella sottoposizione di contratti di collaborazione la cui sottoscrizione, pur nella sua ‘singolarità’, era rimessa alla libera volontà delle aspiranti, che in diversi casi si sono rifiutate di firmare per continuare a frequentare le lezioni nella veste di studentesse ordinarie”. Sembra molto formale, peggio di un dress code. Ma la legge è una forma, per fortuna. Altrimenti i processi diventano una formalità.

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