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La festa, la pena e il populismo giudiziario dei giornali

Maurizio Crippa

Presentare il caso Della Corte in una sola prospettiva e con sottolineatura fortemente emotiva è un sorpasso pericoloso delle leggi

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Il 13 marzo 2018, a Napoli, tre minorenni uccisero a sprangate la guardia giurata Francesco Della Corte, per rubargli la pistola. A fine luglio uno dei tre, detenuto, ha usufruito di un breve permesso per passare alcune ore, sotto controllo, in una canonica e festeggiare il diciottesimo compleanno. Su una pagina social sono uscite delle foto della festa. Ieri i giornali, Repubblica e Corriere soprattutto, hanno dato grande risalto a un’intervista indignata, sconcertata, della figlia della vittima, Marta. “Ci siamo sempre affidati alla giustizia. Adesso però comincio ad avere paura”, dice. Delusa dallo stato, vedendo persone che dopo “un delitto così grave ottengono un permesso dopo così poco tempo. Non c’è niente di rieducativo, in tutto questo”. Non è ovviamente a tema, qui, neppure lontanamente, muovere appunti ai sentimenti e ai giudizi, così tragici e legittimi, della figlia. Un appunto, serio, va invece rivolto ai giornali. Nel presentare la vicenda, né il Corriere né Repubblica hanno segnalato l’aspetto giuridicamente centrale della vicenda: se al detenuto è stata concessa una “misura premiale” (non un premio), si deve al fatto che la legge lo permette, all’interno di un’idea della pena che sia rieducativa. Tanto più per quel che riguarda i minori. Altrimenti vigerebbe ancora la legge del taglione. Ma non è così. Presentare la vicenda in una sola prospettiva e con sottolineatura fortemente emotiva è un modo, purtroppo frequente, di alimentare quello che è stato definito populismo giudiziario: un sorpasso pericoloso delle leggi che non fa più giustizia, e non la rende migliore.

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