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Morire di meloni arcaici

Maurizio Crippa

Il lavoro nero si accompagna a una mentalità sbagliata, come dimostra la morte del bracciante Pasquale Fusco

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La cosa più ripugnante, secondo le prime risultanze, è che il suo contratto è stato regolarizzato su uno straccio di documento invalido soltanto dopo che era morto, dopo poche ore. Fino a poche ore prima c’era solo il nero. Poi lui ha visto tutto nero, c’era un caldo da non poter più vivere. Almeno se per campare devi tirar su meloni a mani nude sotto al sole, come in un mondo arcaico, come fosse dieci secoli fa. La cosa più terribile è che sua moglie, la moglie di Pasquale Fusco, bracciante in nero di 55 anni a Varcaturo, nel comune di Giugliano, padre di tre figli, ha detto, del nero: “Lasciateci in pace. Lo sfruttamento? Il lavoro nero? Sono cose che riguardano i carabinieri e i magistrati”. Chiusa in un mondo arcaico, di dieci secoli fa. Oppure no, ovvio che no: vivono in una “dignitosa palazzina” (la cronaca è di Rep.), avevano fatto qualche fortuna che poi è andata male, come i Malavoglia coi lupini. Non sono i “cafoni” di Fontamara. Anche se lui è morto di caldo e lavoro. Il mondo arcaico, fuorilegge, è un altro: è il mondo del lavoro e del sub-lavoro che con pretesa di modernità insistiamo a non vedere. Ora tornerà al governo un partito di vendifumo che ha turlupinato i lavoratori in nero col decreto “dignità” e col reddito di “cittadinanza”. Ora che li hanno ammansiti si torna a parlare di salario “minimo”. Che è il minimo. La legge sul caporalato c’era già. Ma non sono le parolone dette all’ombra che faranno uscire il lavoro dal mondo arcaico.

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