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Charlize e Magritte

Maurizio Crippa

L'attrice ha detto che suo figlio Jackson, nove anni, in realtà è una figlia

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Molti anni fa, quando non sapevamo ancora chi fosse e come si chiamasse (funzione nominativa del linguaggio), Charlize Theron fu per tutti un bel culo. Oggi l’espressione sarebbe considerata sessista e offensiva, ma in questo caso è soltanto un esempio per spiegare un metodo di conoscenza dei fatti, vedere e nominare: “Questo è un culo” (funzione denotativa, o accusativa, del linguaggio). Ora conosciamo Charlize Theron come una diva, un poco tormentata, del cinema. Ha detto che suo figlio Jackson, nove anni, in realtà è una figlia: “Sì, anch’io pensavo fosse un bambino. Fino a quando non mi ha guardato quando aveva tre anni e mi ha detto: ‘Io non sono un ragazzo’”. Se siano felici, non è l’argomento di queste righe. Non ci riguarda. Ma interessa il caso, che farà scuola, di una persona che ha deciso di non avvalersi della funzione denotativa (vedere e nominare) per passare alla funzione surrealista del linguaggio: “Ceci n’est pas une pipe”. Come Magritte, ha avuto una folgorazione surrealista. Se sia la cultura (o il suo surrogato un tanto al chilo, la psiche) e non la natura a decidere del genere sessuale, è un tema affascinante, un poco noioso, che da fan di Magritte vorrei lasciare sospeso nell’aria, come nei suoi famosi notturni in controluce. Ma resta la domanda: per i primi tre anni, che cosa ha visto (nominato) Charlize Theron? E siccome sono soprattutto un fan di Roman Jakobson, preferisco attenermi alla funzione referenziale del linguaggio, o deissi: “Questa è una pipa, e questo è un pisello”. E un bel culo resta un bel culo.

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