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La bambina nel deserto

Maurizio Crippa

La notizia della piccola di sette anni morta al confine col Messico, la demagogia e i padri che, tante volte, sono cattivi

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Come dovremo esprimerci? Dovremo “dirlo da padre”, come va di moda? Come si maneggiano certe notizie? Le si maneggia “da padre”, o si prendono per quel che sono, senza zucchero, pillole amare? E’ arrivata dagli Stati Uniti la notizia che una bambina di sette anni, proveniva dal Guatemala, è morta per disidratazione e stanchezza mentre era “sotto la custodia delle autorità americane al confine col Messico”. Faceva parte, si scrive, della “carovana dei migranti” centroamericani che tanto fumo e propaganda aveva sollevato nei mesi scorsi. Più probabilmente, faceva parte di uno di quei rivoli rinsecchiti in cui mille fughe disperate si sono disperse: era con 163 migranti che si erano consegnati alla U.S. Customs and Border Protection. Non mangiava da giorni, febbre altissima, l’avevano portata in ospedale. Ma a leggere i primi take italiani, sembrava che fosse morta in detenzione. Insomma per colpa dei campi e dei guardiani. Poi si è capito che non era così. Non è colpa della frontiera, forse nemmeno della frontiera chiusa. Non è colpa neanche dei volenterosi carnefici di Trump. Questa è demagogia. Però è colpa del fatto che quegli uomini, donne e bambini debbano partire e vengano lasciati partire in quelle condizioni. Ed colpa del continuare a dire, a ogni latitudine, aiutiamoli a casa loro. Qui c’è di mezzo il mare, lì in deserto: dovrebbe esistere un codice del deserto, come c’è per il mare, che obblighi al soccorso. Ma non sono cose che si possano trattare con la demagogia del “lo dico da padre”. I padri, tante volte, sono cattivi.

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