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I muretti a secco Unesco e il disastro definitivo dell’Italia

Maurizio Crippa

"È una prova d’orgoglio dell’arcaico". Ecco in poche parole il populismo culturale che la è causa dei nostri problemi 

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"È la rivincita delle mani sulla betoniera, della sapienza antica e povera sulle architetture multipiano e high tech”. Firmato Antonello Caporale, su Facebook. Citato perché serve, in poche righe, a spiegare il disastro definitivo dell’Italia, espressione geografica annichilita dal populismo culturale e dalla decrescita infelice che si merita il ministro Toninelli. Tema: “L’arte dei muretti a secco”. La parte seria è questa: l’Unesco ha iscritto nella “lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità” i muretti a secco.

 

E siamo felici per i muretti a secco, ovviamente, che sono bellissimi, sono stati per millenni utilissimi e ancora lo saranno, non soltanto in Italia ma in tutta l’area del Mediterraneo – tra i paesi che hanno presentato la candidatura ci sono anche Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. Ma, a parte che in Valtellina c’è già chi s’è incazzato (siti turistici specializzati) perché la valle dell’Adda viene citata per i muretti, ma non “come zona terrazzata vitata” (già patrimonio del resto) e se la prendono misteriosamente con “la presenza del Salento”, tanto per dire l’Italia divisa tra nord e sud, il vero problema è un altro.

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È che c’è gente come il paesologo (qualunque cosa significhi) Franco Arminio, citato da Caporale, secondo cui “in questo caso è la mano a vincere sulla macchina, è una prova d’orgoglio dell’arcaico, di ciò che si riteneva superato… la rivisitazione dei luoghi comuni, di una sfida vittoriosa con l’età dell’alluminio anodizzato, con le saracinesche di ferro e le insegne luminose”. È la rivincita delle mani sulla betoniera. E mandate una bella cartolina alle grandi opere.

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