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Cecchinato, un’altra rivoluzione nazionale finita così

Maurizio Crippa

Il sovranismo e lo sport non è che proprio vanno a braccetto. “E’ meglio vedere un film che un incontro di tennis, perché non sopporto di vedere qualcuno che potrebbe perdere”, diceva Andy Warhol

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Fuori un altro. Il sovranismo e lo sport non è che proprio vanno a braccetto. “E’ meglio vedere un film che un incontro di tennis, perché non sopporto di vedere qualcuno che potrebbe perdere”, diceva Andy Warhol. Così pronti via, gioco partita incontro, ci siamo tolti dalla visuale anche Cecchinato, il nuovo Italiano Vero per mezza settimana. E tutta quella sbrodolata di retorica italiana dei nostri giornali, sempre pronti al riciclo di qualsiasi materiale di riporto pur di costruire in fretta e furia la nuova statuetta. Gli elogi di Nadal, “gioca un grande tennis”, e persino McEnroe, “non va mai in sofferenza”. E il rovescio a una mano, ah, il rovescio. Due palle peggio della seconda palla. Fino al profetico Panatta: “Il tennis c’era ma ora è scattato qualcosa”.

 

Insomma il mito dell’eterno ritorno della nazione, anche la grande proletaria del tennis s’è finalmente mossa. Dimenticando che l’ultimo outsider che vinse al Roland Garros si chiamava Michael Te-Pei Chang, era sino-americano e tirò pazzo, ma pazzo, quell’antipatico universale di Ivan Lendl, lanciandogli pallonetti lenti e alti come la Tour Eiffel e fermandosi a ogni scambio a mangiare banane. L’ultimo tennis proletario, ma era il 1989. “Signora, il tennis purtroppo non è come gli altri sport, non è adatto a tutti i ceti sociali”, è una battuta epocale del film Borg McEnroe. Così adesso Cecchinato l’hanno portato via dai sogni di gloria, come il premier Conte dalla conferenza stampa del G7. Alla prossima rivoluzione nazionale.

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