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Winnie Mandela e i colori multiformi del carisma

Maurizio Crippa

Multiforme e piena di contrasti violenti e cangianti come i suoi abiti, come i suoi copricapi, ingombrante sul palcoscenico della vita come solo certe donne predestinate possono essere è stata persino troppe cose

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Si può parlare di Winnie Mandela in poche righe? Ovvio che no, tutti i giornali del mondo lo faranno con più cognizione di causa. Serve farlo in una rubrica? Magari no, se non fosse che quando si chiude l’ultima pagina dei libri di storia così lunghi è da stupidi non essersi fatti un’opinione di quel che vi si è letto, o trattenere un ricordo. Winnie Madikizela-Mandela, a lungo “madre della patria”, a lungo moglie di Nelson, di Madiba il padre del Sudafrica nero e libero, è morta a Johannesburg a 81 anni. Multiforme e piena di contrasti violenti e cangianti come i suoi abiti, come i suoi copricapi, ingombrante sul palcoscenico della vita come solo certe donne predestinate possono essere, Winnie Mandela è stata persino troppe cose. E’ stata l’attivista dei diritti umani incarcerata e torturata, la moglie coraggiosa di un marito-capopopolo imprigionato. La sua portavoce più che ufficiale, sacrale. E’ stata una donna di potere pragmatico e anche oscuro. Le accuse, i processi, le condanne, persino per omicidio che hanno costellato la seconda parte della sua vita sono un elenco lungo altrettanto di quello degli atti di eroismo. Il primo pensiero, che non sempre è quello che conta, che viene in mente per Winnie Mandela è il misterioso ruolo che, nelle grandi democrazie che muovono i primi passi, sono destinati ad assumere i leader carismatici: quelli in cui non è facile, o possibile, distinguere gli ideali dal sotterfugio, o persino il bene dal male. Ma non vale, forse, soltanto per le giovani democrazie dell’Africa.

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