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Imparare molto dall’affetto di molti per Fabrizio Frizzi

Maurizio Crippa

Il saluto al conduttore televisivo di quella moltitudine di persone che ha saputo riconoscere non tanto la buona televisione, ma attraverso Frizzi, la positività bella della vita

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Questa mattina all’ingresso della Rai di Milano un telespettatore anonimo, forse straniero, ha appeso un cartello: “Ciao Fabrizio sei stato un esempio per me. Con te ho imparato l’italiano. TVB”. Lunedì la morte di Fabrizio Frizzi qui l’abbiamo trascurata un po’, o almeno l’ho trascurata io: dispiace sì, ma in fondo era uno della televisione, che sarà mai di importante? Del resto non è che dobbiamo stare tutti a guardare L’eredità o Miss Italia, tranne qualche sera dalla mamma o dalle nonne. Quel cartello, e le moltitudini di italiani, di normali telespettatori che in questi giorni hanno voluto salutare e ringraziare quest’uomo morto in fretta insegnano invece qualcosa, parlano di qualcosa che rischiava di sfuggirci. Che in questa nostra Italia, in questo mondo che ci sembra a volte popolato soltanto da trogloditi urlanti e beceri, un uomo semplice ed educato ha attirato affetto e tanta attenzione, anche trasversale, anche di giovani che la tivù non la guardano spesso. Gente che ha saputo riconoscere non tanto la buona televisione, ma attraverso Frizzi la positività bella della vita. Attraverso il suo modo di essere, quella sua risata larga (troppo larga, abbiamo sempre pensato, noi della risata a denti stretti). Una bella vecchia canzone di Francesco Guccini dice così: “Quanti anni giorno per giorno dobbiamo vivere con uno / per capire cosa gli nasca in testa o cosa voglia o chi è / Turisti del vuoto, esploratori di nessuno / che non sia io, o me”. Ieri lo abbiamo imparato. E grazie, in ritardo.

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