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L'armata catto-fantasma che affondò l'aborto. Appunti

Maurizio Crippa

Una campagna laica, senza nulla da guadagnare e piena di buonumore 

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Giuliano Ferrara ha scritto un fior di pezzo su un aborto di sentenza, quella di Cassazione che risarcisce una coppia per una IVG non riuscita, e ha ridetto cose perfette a proposito della sordità morale attorno al grave problema di evacuare (non più trasmettere) la vita. Ne ha approfittato per ripercorre senso e storia della nostra (del Foglio) moratoria sull’aborto e successiva lista. Non un rimuginare, penso, ma un dolore forse. Fu un tentativo “al culmine di una battaglia morale laica, molto male accolta”. Prova a rispiegarla, oggi per allora, anche se già allora si sapeva “che il mondo non avrebbe compreso perché non aveva nessuna intenzione di comprendere”: come ha scritto un mio amico scrittore, a proposito di Giuseppe e Maria, che con il problema di un Inatteso da accogliere qualcosa c’entrano pure. Fu battaglia contro “il temibile Berlusconi” e contro “il temibile Prodi e la sua armata di cattolici democratici”. Ricorda: “Furono numerose le porte prodiane di chiese che mi si chiusero in faccia durante la campagna”.

  

Nei dieci anni seguenti Ferrara ha avuto modo di ricordarsi “dei cattivi presagi ecclesiastici” di quella vicenda. Ci ho ripensato anche io, nel mio piccolo. E mi sembra di potergli suggerire quest’altro ricordo. Non furono le temibili armate dei cattolici adulti. Quelle erano già altrove. Il problema fu, uno, che la “solidarietà giustamente cauta di Ruini” non lo fu. Ruini era casomai interessato, da entomologo devoto della politica, a vedere quale fosse il grado di resilienza delle battaglie culturali, una volta mandato un fiero manipolo a sbattere contro l’aborto (forse lo capimmo, una mattina a un tavolino sul marciapiede di Piazza Trilussa, ma ormai si era in pista). Il secondo è che l’armata fantasma, come in un brutto fantasy, contro cui si andò a sbattere erano invece i famosi cattolici sensibili ai temi non negoziabili and so on. Quelli insomma che lo avrebbero fatto Papa, il mio amico Giuliano. Ma che si sentirono traditi, loro, quando si accorsero che invece di fondare un regno di Dio sulla terra Giuliano Ferrara era partito per una disfatta terrena e per una sua strada di amore affermativo per la vita. E gli diedero il calcio dell’asino. Molto amichevole, per carità, ma la politica è politica. Votarono il Cav., i ciellini. O Casini, quegli altri. Valori strumentali, i valori, per i cattolici in politica, adulti o destrorsi che fossero. Forse è sempre stato così, ma nella beata Seconda Repubblica anche peggio. Io mi candidai, vista la grande fuga, con pochi altri. Perché era una buona idea senza nulla da guadagnare, e piena di buonumore e laica. Altrimenti sarei rimasto a casa, come ai tempi dei bizantinismi referendari sugli ovociti. Anche se non c’ero fisicamente a Bologna, tra bombe carta e bottigliate, con Aldo Cazzullo.

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Ma non abbiamo perso il ratzingeriano buonumore. Anche se forse è un po’ inferiore a quello di Benedetto, che ne ha così tanto da scrivere pure a Massimo Franco.

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