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La farsa tragica di Opti Tavecchio, secondo tempo

Maurizio Crippa

Quasi quasi ha ragione l'ormai ex presidente della Figc a non sentirsi un capro espiatorio

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Se qualcuno avesse voglia di riguardarsi gli highlights della conferenza stampa di Carlo Banana Tavecchio – ci vuole coraggio, sì, ma non è peggio di Giletti sul La7 o dell’intercettazione di una telefonata tra Fassino e D’Alema – si troverebbe davanti a un medley esaustivo del paese Italia, e della sua dolce deriva. Il cavernicolo di Opti Pobà, l’impresentabile in chief, bofonchiava, girava il testone, ciondolava sopra i microfoni, ha dato la colpa a tutti, fuorché a se stesso. “Ci manca solo Tavecchio in croce e poi è finita. Ho rassegnato le dimissioni e per mero atto politico”, ha detto manco fosse Mugabe. “Siamo arrivati a un punto di grandi speculazioni”, ha detto manco fosse un columnist dell’Antimafia. Ha rinnegato gli alleati (ex) della Lega Pro, “ho avuto la sensazione che la mia componente, dopo 18 anni di militanza, che ho trovato in una certa maniera e consegnata in un’altra”, ha scandito manco parlasse, come un vecchio ras democristiano, del furto di un pacchetto di tessere ben gestite in proprio.

 

Ha scaricato persino il cadavere di Ventura, l’impresentabile in panca: l’ha scelto Lippi, mica io. E così siamo arrivati alla fine non della farsa, ma del secondo atto della farsa. Quello in cui il sistema paese regola i suoi conti senza regole e senza catena di comando, ma per interposto pacchetto di voti e sotterranee (im)moral suasion. Che quasi quasi ha ragione Banana Tavecchio a non sentirsi un capro espiatorio. “Domani andrò a passeggiare sul Sassolungo, potete venire con me se volete”. Potrebbe piantare pure una tenda, come un Prodi qualsiasi.

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