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Fate Silence, che è morto Toro Scatenato

Maurizio Crippa

"Punisce tutti quelli che gli stanno intorno, ma il solo che davvero sta punendo è se stesso". Questo diceva, del suo Jack LaMotta, Martin Scorsese

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"In Toro scatenato Jake combatte tutto e tutti. Non importa dove si trova: il ring, la palestra, la strada, la camera da letto, il soggiorno… ovunque sia, punisce se stesso e se la prende con tutti. Ovunque, continuamente. Come Kichijiro. La differenza è che Kichijiro è costretto a fare quello che fa, e Jake no”. Rispose così Martin Scorsese, qualche tempo fa, a padre a Spadaro, quando gli chiese: “Secondo lei, c’è un suo film che si può accostare e confrontare con Silence, perché di significato simile oppure opposto?”. “Direi che Toro scatenato è simile”. Kichijiro è il cristiano giapponese che nel film sui gesuiti abiura in continuazione, tradisce tutti i suoi fratelli. Un autodistruttivo in compulsiva ricerca di misericordia. Chissà se Scorsese, che è stato chierichetto e ha servito Messa ai funerali, e strada facendo si è “fatto un po’ di male da solo”, era davvero il regista giusto per capire l’anima divisa in due di Jack LaMotta, questo mezzo siciliano e mezzo ebreo che è morto mercoledì, a 95 anni, e la sua faccia piena di pugni. “Jake punisce tutti quelli che gli stanno intorno, ma il solo che davvero sta punendo è se stesso. Quindi, alla fine, quando si guarda allo specchio, vede che deve avere pietà di se stesso”. Raging Bull, come lo chiamavano, fu il primo, forse l’unico, a mettere ko Ray Sugar Robinson, all’ottava ripresa. Ma Sugar Ray si vendicò per altre due volte. Sugar Ray era un damerino del ring, invece alcuni incontri di Jake sono passati alla storia come i più scorretti della storia della boxe. Però il film ne ha fatto un’icona eterna, nel bene o nel male, e il suo mistero se l’è portato via. Silenzio, please.

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