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Un motivo per azzardarsi a commentare anche Seneca

Maurizio Crippa

Tutti espertoni con Caproni. Ma alla seconda prova, il vuoto

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Sono capaci tutti, alla prima prova della maturità, a pontificare. Non c’era un giornalista, un espertone, uno che era stato giovane anche lui che non sapesse chi fosse Giorgio Caproni. Che non ne avesse mandato a memoria i versi, capito l’anima e la teodicea, pianto come un giovinetto con la sua visione scabra del mondo. Persino Gino Paoli, per dire. Ma alla seconda prova, il vuoto. Tutti muti come spie. E non parlo della bicicletta con le ruote quadrate, siamo pur sempre umani, noi. Per quanto, io mi ricordo, da piccolo la vidi al circo, e un acrobata chi pedalava davvero. Ma dico Seneca, almeno. Che è un longseller delle versioni di latino agli esami, e le Lettere a Lucilio ci sono passate per le mani a tutti, tranne forse a Di Maio, almeno una volta nella vita. Quel brano lì, poi: XVI, 3-5. Però nessuno che si sia preso il rischio di rileggerlo e di dire, come si fa in questi casi per convincere i giovani che non è tutto tempo sprecato il loro, che “Seneca ci parla dell’oggi, dice qualcosa che interessa anche a noi”.

 

Invece, provare per credere: “Bisogna praticare la filosofia: sia che il destino ci incateni con la (sua) legge inesorabile, sia che un dio padrone di tutto l’universo abbia predisposto tutto quanto, sia che il caso metta in movimento e agiti le faccende umane senza un ordine, la filosofia deve proteggerci. Questa (la filosofia) ci spingerà a obbedire di buon grado a dio, e controvoglia alla sorte; ti insegnerà a seguire dio e a sopportare il destino”. Così dunque, Virginia Raggi, ma te ne vuoi andare oppure no?

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