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Ma Gesù non si idratò

Maurizio Crippa

Vangelo secondo Matteo, capitolo 27, versetto 34: “Gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere”

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Vangelo secondo Matteo, capitolo 27, versetto 34: “Gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere”. Non c’era più niente da idratare, artificialmente, con una spugna in cima a una canna. Era appeso alla croce, a un passo dal “è compiuto” (Giovanni), non serviva. Subito morì. Non cambia molto. Vino e fiele (ma probabilmente era mirra) erano una pietosa bevanda per far perdere conoscenza. Una cannabis da patibolo. Non che fosse vietato usarla, anzi. Un antico trattato giudaico sul Sinedrio annota che “quando un uomo deve essere giustiziato, gli si permette di prendere un grano di incenso in un calice di vino per perdere la coscienza”. Ma se c’è una cosa sicura, è che Gesù non volle perdere coscienza. Se c’è una morte vissuta al culmine della coscienza, è quella. Le sue frasi riportate dai cronisti hanno ispirato a Haydn un capolavoro di musica e fede come “Le ultime sette parole del nostro Redentore in croce”. Se c’è una cosa indiscutibile, è che Gesù di Nazareth non si è suicidato. Se c’è una cosa indiscutibile, è che non ha avuto una morte dolce. Solo infinitamente cosciente. Tutto questo non per sposare nessuna tesi, è solo un pensiero del Venerdì Santo. Il resto sono balle da preti, da medici. O da bioeticisti (Dio li perdoni).

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