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Com'è che la Bindi è peggio di Bannon, ma resta dov'è?

Maurizio Crippa

L’ineffabile presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, coglie l’occasione dell’audizione del procuratore della Figc, Giuseppe Pecoraro, per ribadire la sua visione del mondo

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Nel giorno in cui persino The Donald defenestra il suo fidato Stephen Bannon, l’uomo che non ha bisogno di sussurrare perché grida piuttosto forte e la sua voce spaventa, di riffa o di raffa, mezzo pianeta, e lo toglie dal Consiglio per la Sicurezza nazionale. Nel giorno in cui Matteo Renzi smentisce di aver detto a Panorama “Se perdo stavolta me ne vado davvero”, ma Panorama conferma, e chi vivrà vedrà. In un giorno così, per capirci, c’è una sola figura di rilievo istituzionale, forse dire internazionale è troppo, ma nazionale invece sì, che non fa nemmeno finta, proprio non ci prova neanche, a fare un passo indietro, o di lato, o almeno in fallo laterale. E’ l’ineffabile presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, che coglie l’occasione dell’audizione del procuratore della Figc, Giuseppe Pecoraro, a Palazzo San Macuto, per ribadire la sua visione del mondo, e forse del calcio: “In Italia le mafie arrivano persino alla Juventus e questo è chiaro”. Nonostante debba ammettere che, in quella famosa intercettazione, “non si sta parlando del presidente della Juventus Agnelli”. E va bene tutto, va bene la cultura del sospetto; va bene che noi, stavolta, non c’entriamo. Ma perché la Bindi debba dire queste cose, e rimanere dov’è, è un mistero. Poi dite che il pericoloso estremista era Bannon.

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