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Detesto Mel Gibson, ma salvatelo dal “perdono” dei critici

Maurizio Crippa

Tutti a fargli le bucce. Non all’uomo di cinema. Ma perché è un uomo cattivo

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Se dico che Mel Gibson non mi è mai piaciuto, rischio la figura dell’uomo mediocre che invidia un divo che ha avuto in dono da Dio bellezza e occhi di ghiaccio (ho detto invidia degli occhi, non spingetevi più in là). Però non mi è mai piaciuto. Come uomo di cinema. Ha girato un paio di film strepitosi con Peter Weir, poi, da una parte e dall’altra della cinepresa, una serie di blockbuster largamente inguardabili, compreso Braveheart. Per Passion l’avrei preso a calci. Fin qui la premessa. Però ora è tornato, con un film che invero dicono bellissimo, La battaglia di Hacksaw Ridge: fede, eroismo, moralità, guerra. Lo accostano a Lettere da Iwo Jima, al Soldato Ryan. Si attendono Oscar. Bene.

 

Ci si potrebbe accontentare, no? Invece tutti, ma proprio tutti, a fargli le bucce. Non all’uomo di cinema. Ma perché è un uomo cattivo. Proprio. Sulla Stampa, Alessandra Levantesi Kezich: “L’‘infamous’ Mel Gibson con il suo talento da cineasta riesce a far (almeno temporaneamente) dimenticare gli episodi di ubriachezza, risse, esternazioni antisemite e omofobe per cui è noto”. Federico Pontiggia, il Fatto: “Mel is back. Violento, antisemita, ubriacone, è di nuovo tra noi”. Il Corriere: “La rinascita di Mel Gibson – “Errori del passato? Ho pagato”. Perché questa pretesa di pubblica penitenza? Perché questa insistita sottolineatura che il reprobo, il peccatore, il gaglioffo deve farsi perdonare? Non basta essere artista, per essere artista? Ci vuole il patentino etico? E chi lo dà, la giuria di qualità?

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