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Se pure Carlo Conti è costretto a dire: “Populismo”

Maurizio Crippa

Mi dispiace molto. Comprendo il sentimento che parte da un disagio che c’è nella società ma bisognerebbe sapere i fatti. Non perché un giornale fa un titolo e scrive una cifra allora è quella giusta e viene cavalcata in maniera populistica”

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Le parole passe-partout sono quelle parole che infiliamo ovunque, quando non sappiamo dire la cosa che andrebbe detta. Poi ci sono le parole prezzemolo, che tutto d’un tratto diventano di moda, moneta comune (di solito si svaluta), ma sembra che a dirle ci si faccia capire di più. Ad esempio: populismo. Che un signore come Carlo Conti (presente? quello di Sanremo), debba invocare il populismo, perché una banda di sciammannati e anche qualche persona più (teoricamente) assennata l’ha massacrato e insultato per il suo (presunto) compenso per la conduzione del Festival, dà da pensare. Eppure, intervistato da Chi, che è il Financial Times del settore, ha detto: “Mi dispiace molto. Comprendo il sentimento che parte da un disagio che c’è nella società ma bisognerebbe sapere i fatti. Non perché un giornale fa un titolo e scrive una cifra allora è quella giusta e viene cavalcata in maniera populistica”. E anche dire: “Ho sempre fatto beneficenza senza dirlo, e al Festival si parlerà anche di sociale, come ho sempre fatto”, non è proprio una difesa fantastica. Però dà da pensare che, se devi difenderti da quell’accozzaglia di urlatori, ti tocca scendere al loro livello concettuale. Forse gli sarebbe bastato ricordare che il “suo” festival quest’anno farà 25 milioni di raccolta pubblicitaria. E, come sanno gli addetti, rapportato a quel che porta a casa Mamma Rai “il compenso è semmai livellato verso il basso”. Ma bisogna usare le parole che passano. Meglio dire populismo.

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