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La non centralità di Giachetti che somiglia alla sua faccia

Maurizio Crippa

Sul Mattarellum forse ha ragione. Ma se è il genio che si ritiene, avrebbe dovuto accorgersene quando invece sosteneva che “nell’approvazione dell’Italicum c’è un pezzo importante di recupero della credibilità della politica”.

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Probabilmente nel giorno in cui una guardia turca spara a un ambasciatore russo gridando “Aleppo”; in cui a Garlasco si accorgono dopo dieci anni di non avere mai guardato sotto le unghie della vittima; in cui Alessandra Moretti si dimette da capogruppo del Pd veneto; ma, soprattutto, in cui Diletta Leotta fa 80 mila like su Istagram “con un elegante tubino nero” e arriva alla soglia del milione di follower, tornare a parlare di Roberto Giachetti è un’esagerazione. Non per la famosa faccia come il culo – l’espressione è ormai sdoganata, come tutte le frasi a cazzo – ma per la centralità politica delle sue gesta, che a volte risulta faticoso cogliere. Ad esempio, bisognerebbe dire che se oggi Roma è preda di Virginia Raggi, una buona parte del risultato il Pd la deve, oltre che a se stesso, al suo candidato. Alle sue camicie sciamannate che manco Capezzone, ai suoi giri in motoretta, ai suoi digiuni senza requie ma fuori moda, al suo programma che prevedeva più preferenziali ma in contromano, più decoro e meno buche e pure le start-up, a Roma. Insomma tutte le bellurie piddine che i romani non hanno bevuto. Sul Mattarellum forse ha ragione. Ma se è il genio che si ritiene, avrebbe dovuto accorgersene quando invece sosteneva che “nell’approvazione dell’Italicum c’è un pezzo importante di recupero della credibilità della politica”. Ha preso una musata. Speranza non dà speranza, ma i primi della classe fanno sempre lo stesso effetto: assomigliano alla faccia che hanno.

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