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Le lacrime nella prassi della comunicazione pubblica, da dj Linus a Maria Elena Boschi

Maurizio Crippa

Ha pianto Hillary, s’è commosso Obama, ha pianto persino Paola Muraro, ex assessore e neoindagata della giunta Raggi

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Il mitico dj Linus, che è tra i migliori comunicatori della nostra Repubblica, ha pianto in trasmissione a “Deejay chiama Italia” per la morte del suo cane Bruna, labrador di undici mesi, commosso dalla commozione dei suoi fan. “Aver condiviso la notizia ha evitato che mi chiedessero di lei. Non ho pianto neanche per mia madre”. Il paragone magari è un po’ forte, ma è in linea con lo Zeitgeist, diciamo. Debora Serracchiani, presidente del Friuli e vicesegretario del Pd – sotto il profilo istituzionale dovrebbe essere un gradino più su di Linus, ma lo Zeitgeist forse dice il contrario – ha pianto in Consiglio regionale mentre replicava ad attacchi vieppiù duri e “tutti personali”, e ha fatto una “considerazione amara”: “Ci sono momenti in cui faccio fatica anch’io… per questa regione ho rinunciato a tutte le cose più care che avevo”. La pubblica lacrimazione è da tempo entrata, socialmente accettata, nella prassi della comunicazione, in Italia e altrove. Ha pianto Hillary, s’è commosso Obama, ha pianto persino Paola Muraro, ex assessore e neoindagata della giunta Raggi (questa risibile, però). E ha pianto, ma di nascosto, anche Maria Elena Boschi, nella fatal notte. Però lei, più o meno parigrado della Serracchiani, un po’ s’è già consolata, è entrata nel governo di Gentiloni. Il quale ieri, al Senato, lacrimucce di Verdini o no, ha incassato gli stessi voti di fiducia che ebbe Renzi. Perché lo Zeitgeist del ritorno alla Prima Repubblica questo prevede: chi chiagne, e chi fotte.

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