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Non dimenticare Salvatore Usala e la sua civiltà disabile

Maurizio Crippa
Salvatore Usala è morto ieri all’ospedale Marino di Cagliari. Aveva 63 anni, da molti viveva in un letto, paralizzato, viveva grazie a un respiratore, l’aria gli entrava nei polmoni attraverso una tracheotomia
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Salvatore Usala è morto ieri all’ospedale Marino di Cagliari. Aveva 63 anni, da molti viveva in un letto, paralizzato, viveva grazie a un respiratore, l’aria gli entrava nei polmoni attraverso una tracheotomia. Era malato di Sla, che è una malattia atroce anche lui, con la sua immensa voglia di vivere, la chiamava “la mia amante”. Salvatore Usala, da solo e con altri, malati come lui o sani, e con il “Comitato 16 novembre” di cui era segretario da dieci anni combatteva battaglie in favore delle possibilità di cura e di esistenza dignitosa per i disabili gravi. Per loro e per le loro famiglie, che portano il peso, pieno di affetto ma spesso anche di disperazione, della cura e dell’assistenza. Nel  2009 era sto protagonista, assieme a Maria Antonietta Farina Coscioni e a Giorgio Pinna e Mauro Serra, malati come lui, di uno sciopero della fame per attirare l’attenzione delle autorità sulle carenze dell’assistenza domiciliare. Ne avevamo scritto sul Foglio, tra gli altri anche Adriano Sofri: “La verità è che se un malato di Sla viene ricoverato in terapia intensiva costa mediamente 1.740 euro al giorno e lo stato non ha problemi a pagare. Se però il malato chiede di essere assistito in famiglia al costo di 240 euro al giorno allora i soldi non ci sono”. Da allora le cose sono un po’ migliorate. In tempi in cui ci poniamo saggiamente il problema dei figli da far nascere, il problema di come far vivere i figli, i mariti e le mogli, i genitori non abili alla vita “normale”, resta un problema da non dimenticare.
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