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E anche l’utopia della pecora Dolly l’abbiamo sistemata

Maurizio Crippa
Avrebbe vent’anni, e sarebbe una vecchietta malferma sulle gambe. Ma la poveretta è defunta nel 2003, complicazioni polmonari, e l’hanno per così dire eutanasizzata. La pecora Dolly, il primo mammifero interamente clonato all’istituto Roslin di Edimburgo aveva sconvolto il mondo e squadernato una delle più belle utopie: la clonazione umana a un passo, appunto.
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Avrebbe vent’anni, e sarebbe una vecchietta malferma sulle gambe. Ma la poveretta è defunta nel 2003, complicazioni polmonari, e l’hanno per così dire eutanasizzata. La pecora Dolly, il primo mammifero interamente clonato all’istituto Roslin di Edimburgo aveva sconvolto il mondo e squadernato una delle più belle utopie: la clonazione umana a un passo, appunto. Sembrò dovesse cambiare tutto, quel 5 luglio 1996, il giorno della sua nascita, e da allora il verbo nascere sarebbe sopravvissuto soltanto nelle favole del presepe. “Dolly ha sette mesi ed è una bella pecora di razza Finn Dorset. E’ un normalissimo ovino, una pecora come tutte le altre”, scrivevano i giornali con entusiasmo appena incipriato di dubbio, e quasi per normalizzare la faccenda. Come fosse la cosa più normale del mondo. Invece, a dire il vero, c’erano riusciti quasi per caso, dopo 277 tentativi andati in bianco: roba che anche il più focoso dei montoni si sarebbe volentieri rassegnato a leggere un libro di Dacia Maraini, la sera, invece di insistere. Vent’anni dopo sir Ian Wilmut, il “papà di Dolly” (ah, le metafore familiari) è meno entusiasta di allora del suo lavoro: “Sono convinto che stiamo imparando lentamente a essere più realisti e a non ripetere di nuovo gli stessi errori”. Pensa che l’idea di produrre trattamenti “su misura” basati sulle cellule staminali pluripotenti indotte si è rivelata irrealistica ed eccessivamente ottimistica. E anche questa utopia del Novecento l’abbiamo sistemata.
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