L’arte del giullare possiede da sempre il suo quarto di nobiltà, che consiste nel rischio calcolato di rimetterci la ghirba, prima o poi, a dire al Re ciò che gli va detto.
L’arte del giullare possiede da sempre il suo quarto di nobiltà, che consiste nel rischio calcolato di rimetterci la ghirba, prima o poi, a dire al Re ciò che gli va detto. Non è che Roberto Benigni, giullare costituzionale o di Dio, a seconda delle occasioni, sia uno di quelli che se la vadano proprio a cercare, l’occasione di lasciare il collo ai piedi del trono. Con la politica ha sempre preferito il modello del guitto piacione. Però Dario Fo, che è quasi centenario e da una vita intera sul palcoscenico dovrebbe avere imparato che ogni tanto non bisogna mentire, o almeno che non bisogna sempre sragionare in gramelot, non è uno che possa dare lezioni, in fatto di giullari dalla schiena dritta, a un collega come Benigni. Il quale ieri ha rilasciato una chilometrica e largamente illeggibile intervista a Ezio Mauro, dove, in sintesi, diceva: ci ho pensato su bene, questa riforma costituzionale non è il Paradiso di Dante, ma io al referendum voterò sì. Ed ecco che, da dietro le quinte della decenza politica, è apparso il Premio Nobel. E gli ha detto, a Benigni, con volgarità da guitto più che con arte da giullare: “Sono rimasto sconvolto. Avevo letto che avrebbe sicuramente votato contro”. “La questione non è votare questo o quello, ma lasciarsi andare alla deriva. C’è qualcosa del ‘dare e avere’. Non c’è dubbio che questa posizione favorisce il governo e il potere. Sarà ripagato”. E infine: “Lo vedo cedere davanti alle lusinghe”. Che mistero buffo, il rispetto delle idee degli altri.