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Il guitto non necessario. Dario Fo contro Benigni, collega

Maurizio Crippa
L’arte del giullare possiede da sempre il suo quarto di nobiltà, che consiste nel rischio calcolato di rimetterci la ghirba, prima o poi, a dire al Re ciò che gli va detto.
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L’arte del giullare possiede da sempre il suo quarto di nobiltà, che consiste nel rischio calcolato di rimetterci la ghirba, prima o poi, a dire al Re ciò che gli va detto. Non è che Roberto Benigni, giullare costituzionale o di Dio, a seconda delle occasioni, sia uno di quelli che se la vadano proprio a cercare, l’occasione di lasciare il collo ai piedi del trono. Con la politica ha sempre preferito il modello del guitto piacione. Però Dario Fo, che è quasi centenario e da una vita intera sul palcoscenico dovrebbe avere imparato che ogni tanto non bisogna mentire, o almeno che non bisogna sempre sragionare in gramelot, non è uno che possa dare lezioni, in fatto di giullari dalla schiena dritta, a un collega come Benigni. Il quale ieri ha rilasciato una chilometrica e largamente illeggibile intervista a Ezio Mauro, dove, in sintesi, diceva: ci ho pensato su bene, questa riforma costituzionale non è il Paradiso di Dante, ma io al referendum voterò sì. Ed ecco che, da dietro le quinte della decenza politica, è apparso il Premio Nobel. E gli ha detto, a Benigni, con volgarità da guitto più che con arte da giullare: “Sono rimasto sconvolto. Avevo letto  che avrebbe sicuramente votato contro”. “La questione non è votare questo o quello, ma lasciarsi andare alla deriva. C’è qualcosa del ‘dare e avere’. Non c’è dubbio che questa posizione favorisce il governo e il potere. Sarà ripagato”. E infine: “Lo vedo cedere davanti alle lusinghe”. Che mistero buffo, il rispetto delle idee degli altri.
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