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Reincarnarsi in un profugo tibetano, provare per credere

Maurizio Crippa
Se i leader religiosi non esistessero, bisognerebbe inventarli. Sono gli unici, per esempio, che sull’immigrazione sparigliano, cercano vie per il Cielo, la buttano in caciara. Il Dalai Lama è un uomo dagli alti intendimenti spirituali, quando non è a spasso con Richard Gere.
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Se i leader religiosi non esistessero, bisognerebbe inventarli. Sono gli unici, per esempio, che sull’immigrazione sparigliano, cercano vie per il Cielo, la buttano in caciara. Il Dalai Lama è un uomo dagli alti intendimenti spirituali, quando non è a spasso con Richard Gere. Sa stupire, e siamo abituati a sentirlo parlare in libertà. Ad esempio quando disse che gli sarebbe piaciuto reincarnarsi in una bella figliola. L’altro giorno ha rilasciato una lunga e sorprendente intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung: “Se guardiamo i profughi in faccia, soprattutto le donne e i bambini, proviamo compassione”, ha detto. E la compassione, per un buddista, va da sé. Ma ha aggiunto: “D’altra parte, nel frattempo sono diventati troppi. L’Europa e la Germania non possono diventare arabe. La Germania è la Germania”. I tedeschi che in materia detestano la Merkel hanno applaudito, e non solo loro. E Dio sa quanto ci piacerebbe, crocianamente, poterci dire tutti buddisti. Ma c’è un ma. Il Dalai Lama è il leader teocratico di un popolo spodestato della sua sovranità che da 57 anni è profugo per il mondo, e si reincarnano pure, peggio dei cinesi che non muoiono mai, e nemmeno in Nepal vogliono più concedergli l’asilo politico, e sul Mekong ormai stanno diventando “profughi ambientali”. Dal suo pulpito, dire che sono diventati troppi, e prendersela col lassismo dell’Europa, è un gesto creativo. Se vi lamentate di Papa Francesco e mons. Galantino, provate a reincarnarvi tibetani.
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