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Altro che royal baby, al M5s “un figlio vale un figlio”

Maurizio Crippa
La magnifica leggenda del Royal baby, da queste parti ve l’abbiamo narrata a sufficienza. Ma, da uomo politico moderno qual è, Matteo Renzi resta il figlio di una stepchild adoption, il figlioccio del Fondatore della modernità politica italiana.
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La magnifica leggenda del Royal baby, da queste parti ve l’abbiamo narrata a sufficienza. Ma, da uomo politico moderno qual è, Matteo Renzi resta il figlio di una stepchild adoption, il figlioccio del Fondatore della modernità politica italiana. Sulla discesa in campo per via di figliolanza vera di Marina ci è spesso piaciuto romanzare, ma aveva di meglio da fare. Eppoi, per noi era un lieto feuilleton rosa, mentre al resto dell’Italia, l’Italia occhiuta dei custodi della Costituzione scolpita nella pietra, suonava come un’oscura minaccia, la trasformazione della democrazia in un regno privato. Re Lear in Brianza. Poi l’Italia degli occhiuti custodi deve aver ceduto a un colpo di sonno. Nessuno ha alzato un ciglio di fronte alla più stupefacente mutazione genetica di un partito politico mai avvenuta. Davide Casaleggio, figlio del compianto Gianroberto, è divenuto ipso facto il capo del Movimento 5 stelle. Non per grazia divina, non per investitura degli Ufo, ma direttamente per via testamentaria: la Casaleggio Associati era di papà, e adesso e sua. Il partito, pure. L’autoproclamato candidato premier Luigi Di Maio gli ha reso omaggio vassallatico. Virginia Raggi, fotogenica candidata al Campidoglio se n’è venuta a Milano, nella sede della ditta, per la visita ad limina e il bacio della pantofola. Nessuno ha fiatato. Succede che il movimento che non voleva capi né padroni, s’è trasformato, lui sì, in una dinastia della democrazia diretta. Cambierà lo stemma araldico: “Un figlio vale un figlio”.
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