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Rondolino e l’uso mafiosetto dell’essere scrittori

Maurizio Crippa
Per infilzare come un tordo Roberto Saviano senza nominarlo, ma ricorrendo alla seguente perifrasi: “Quello scrittore che è stato ucciso dalla camorra. Si vede che gli han sparato a salve, perché lo vedo tutte le sere in televisione”.
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Per infilzare come un tordo Roberto Saviano senza nominarlo, ma ricorrendo alla seguente perifrasi: “Quello scrittore che è stato ucciso dalla camorra. Si vede che gli han sparato a salve, perché lo vedo tutte le sere in televisione”, bisogna essere un grande scrittore, come Paolo Nori. Anche Fabrizio Rondolino, fra le molte reincarnazioni della sua lunga militanza comunicativa – dal giornalismo politico ambo lati agli staff presidenziali ai programmi per la tivvù – è uno scrittore. Uno che scrive libri. Però dare a Saviano di “mafiosetto di quartiere” sull’Unità, perché il vate di Gomorra parla male della Boschi ma “si guarda bene dallo specificare quali siano le ‘tante ombre’ sulla ministra”, non è esattamente una trovata da grande scrittore. E neanche da blogger, a dirla tutta. Anche Walter Veltroni è stato tante cose nelle sue tante vite, compreso uno scrittore. Ha difeso Saviano e menato Rondolino, ma senza nominarlo (avrà letto Nori): “Usare l’espressione ‘mafiosetto’ riferita a chi, come Roberto Saviano, ha combattuto e pagato in modo terribilmente aspro le sue battaglie proprio contro le mafie è un errore per me grave e inaccettabile”. E pazienza se Veltroni per difendere il collega (scrittore) Saviano è dovuto ricorre all’ospitalità del Fatto Quotidiano: sono cose che probabilmente dicono molto del Pd, ma poco di Saviano. Però dargli del “mafiosetto” è qualcosa che dice anche di Rondolino, e del suo modo di usare le parole. Cose da scrittori.
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