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La paura di volare e la superiorità culturale del netturbino che butta i pezzi del Boeing

Maurizio Crippa
Chi ripensa alla prima puntata di Lost, chi maledice la volta che l’ha vista; chi predispone il relax di libri e cuscino da collo, chi ha fisso in testa il pazzo di Germanwings, e non dormirà da qui a Hong-Kong.
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Chi ripensa alla prima puntata di Lost, chi maledice la volta che l’ha vista; chi predispone il relax di libri e cuscino da collo, chi ha fisso in testa il pazzo di Germanwings, e non dormirà da qui a Hong-Kong. Il discrimine del volo è la gestione dell’ansia. Ma è Ferragosto, stiamo partendo tutti. E con il terrore dello schianto, anche chi fa finta di divertirsi un sacco, ci convive. Ma consustanziale al terrore dello schianto, e molto più interessante, sotto il profilo dell’antropologia culturale, c’è nel nostro subconscio di occidentali frequent flyer il tabù del ritrovamento dei resti. Cadere, va bene. Non essere più ritrovati, chisseneffotte. E’ un po’ come farsi incenerire e disperdere sull’oceano. Ma l’aereo, il Boeing, la carlinga, la scatola nera. Quello no. L’ossessione del puzzle di Ustica. L’incubo è finire come il Boeing della Malaysia Airlines sparito. Il punto che segna la differenza culturale, o forse la superiorità, o il vero scontro di civiltà tra noi e il resto del mondo è questo. Da qualche giorno alla Réunion, Dipartimento d’Oltremare, mica terra di cannibali, hanno cominciato a trovare pezzi del mitico MH370. Il flaperon, un sedile azzurro. Però hanno trovato anche un netturbino isolano: “Ho trovato anche dei bagagli, pieni di oggetti. Li ho bruciati: è il mio lavoro. Raccogliere spazzatura e bruciarla. Potrei aver trovato molta roba di quell’aereo e averla bruciata”. Ecco, che gliene frega a lui? Non è un selvaggio. Solo, vive nella parte del mondo in cui il tabù del pezzo da trovare, non c’è. Sei venuto giù. C’è altro da dire?
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