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Com’è che non ci frega nulla se fanno il safari con la famiglia del raìs, leone di Libia

Maurizio Crippa
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Cecil il leone resterà per sempre nei nostri cuori, persino di noi che non siamo proprio il giornale di san Francesco con gli animali del bosco o del Wwf, per dire così. Perché quando è troppo è troppo. Poi però ci sono anche famiglie di altri animali che meriterebbero, se non la difesa psicotica di Mia Farrow, se non quella di una pasionaria anti pena di morte alla Susan Sarandon, almeno quella di un paio di cani in chiesa, che dicano la verità. Tanto per abbaiare un po’ alla luna della verità. Parliamo della famiglia Gheddafi, libica, un tempo numerosa, oggi un po’ meno. Re Leone l’hanno sparato nel deserto, la criniera sozza e insanguinata, con la stessa crudeltà usata per Cecil, ma anche con un più d’intenzione mafiosa. Qualche giorno fa la notizia che un suo figlio, Saif al Islam, è stato condannato a morte in contumacia, perché al momento sta nelle grinfie di una milizia a Zintan e i gentiluomini per ora si rifiutano di estradarlo al governo presunto di Tobruk, ha scatenato una blanda ed effimera passione. Venti minuti o giù di lì. Sarà che Saif è pelato, non ci saranno criniere da piangere. Ora la procura di Tripoli, l’altro pezzo di ipotetico governo libico, fa sapere che aprirà un’inchiesta perché il figlio minore del fu raìs leone, Saadi Gheddafi, quello che voleva fare il calciatore (la storia di Muhammar forse ve la siete dimenticata, ma la cazzata del calcio probabilmente no) è stato torturato in un carcere delle milizie islamiste di Tripoli. Ci sarebbe un video a testimoniare. E anche lui, di criniera, manco a parlarne. Però, però: il safari glielo fanno lo stesso. E qui tutti muti, con la foto di Cecil.
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