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Travaglio, treni e tribunali. Un racconto di Mark Twain

Maurizio Crippa
Bisogna tornare a qualche spassosa pagina di Mark Twain sui treni del Far West per ritrovare la fresca critica di costume della cronachetta che ieri Marco Travaglio ha dedicato a un suo viaggio sul Frecciarossa.
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Bisogna tornare a qualche spassosa pagina di Mark Twain sui treni del Far West per ritrovare la fresca critica di costume della cronachetta che ieri Marco Travaglio ha dedicato a un suo viaggio sul Frecciarossa. Travaglio ha il dono leggiadro del narratore e ci ha conquistati per idem sentire e idem soffrire, noi vittime pendolarizzate dei soprusi di Trenitalia, che come lui conosciamo per “ordinaria amministrazione” l’acqua nei bagni che non va, il pavimento che appiccica, il ritardo di dieci minuti che ovunque costringerebbe l’azienda a chiedere scusa e invece da noi è ordinario disservizio. E comprendiamo anche, per averla provata come accaduto a due suoi amici, l’umiliazione di essere sottoposti “con malcelato godimento” a terzo grado e spropositata multa da una “aspirante Kapo” per via di un biglietto regolarmente pagato, ma che per un errore è stato digitato con la data sbagliata. Mica siamo dei “furbacchioni”, ci sarà differenza tra i truffatori e “due persone oneste”. Strano effetto. Il meraviglioso apologo di Mark Travaglio apre però la strada a piccolo esperimento. Che succederebbe se prendessimo il suo racconto e lo applicassimo a un altro potere arcigno, inefficiente e costituito? Diciamo: da TRenitalia ai TRibunali. Alla giustizia, che pure è “tanto corriva con i propri errori e disservizi” ma non chiede mai scusa ai cittadini per i suoi sbagli, i suoi ritardi, i suoi soprusi? Scommettiamo che Travaglio, sceso dal treno, sarebbe un po’ meno sTRonzo?
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