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A Cannes tutto secondo pronostici. La Palma d'oro va a Justine Triet

Mariarosa Mancuso

Vince "Anatomie d'une chute", legal thriller con tanto di menzione per un border collie. Successi anche per il franco-vietnamita Tran Anh Hung e il finlandese Aki Kaurismaki. Tutti i premi assegnati. Italiani mai presi in considerazione

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Tutto secondo pronostici. O quasi. La giuria con Ruben Ostlund presidente ha scelto film contemporanei. Unica eccezione: il premio per la regia andato al franco- vietnamita Tran Anh Hung per “La passion de Dodin Bouffant” (titolo internazionale “Pot-au-Feu”). Pentole e fornelli, cocotte e gelati ricoperti di meringa e passati in forno: grande omaggio alla cucina francese ottocentesca. e a Juliette Binoche che vuole essere “cuoca” e non “moglie”. Purtroppo i pranzi duravano moltissimo e il film non si perde neanche una portata.

Palma d’oro alla francese Justine Triet, per “Anatomie d’une chute”, una delle sette donne in gara (il direttore Thierry Frémaux quest’anno ha deciso di mettersi al riparo dalle critiche). Un thriller, anzi un legal thriller, con la bravissima attrice Sandra Huller sospettata di aver “aiutato” il consorte a volare giù dalla finestra. Lui del resto l’aveva strappata a una vita londinese per portarla in uno chalet di montagna. Il border collie della coppia, decisivo durante il processo, ha vinto la Palme Dog per il miglior cane attore.

Gli altri premiati avrebbero potuto essere altrettante Palme d’oro. Per esempio “Le foglie morte” del finlandese Aki Kaurismaki, ricompensato con il Premio della Giuria (sì, ora comincia la confusione, sarebbe più semplice dire “primo, secondo, terzo”). Racconta due amanti, tristi e disoccupati, che faticano a ritrovarsi - il numero di telefono vola via alla prima occasione.

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Premio per il miglior attore a Koji Yakusho, il solitario pulitore di gabinetti che nel film di Wim Wenders “Perfect Day” gira per Tokyo con furgone, spazzole, e uno specchietto per vedere se gli angoli nascosti rimane qualche macchiolina. Quando torna a casa la sera srotola il futon, legge libri di carta e ascolta Lou Reed in audiocassetta.

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L’attrice turca Merve Dizdar - nel film di Nuri Bilge Ceylan “About Dry Grasses” - ha reagito all’annuncio fingendo gran stupore. Poi però dalla borsetta ha estratto il foglietto con i ringraziamenti. Anche il film meritava, ambientato in una scuola della remota Turchia che conosce solo neve e erba secca, gli insegnanti sognano il trasferimento. Parlatissimo e piuttosto perfido, come comanda il nuovo stile del regista - prima erano film silenziosi, e ci si annoiava parecchio.

L’attore John C. Reilly è salito sul palco, ha fatto un po’ di facce - stupito, annoiato, curioso, disgustato - e ha detto: “avete appena visto un film senza sceneggiatura”. Poi ha premiato Sakamoto Yuji, lo sceneggiatore di “Monster”, diretto da Hirokazu Kore-eda. Quentin Tarantino ha omaggiato Roger Corman, di anni 97. E Roger Corman, in gran forma e con un gran sorriso, ha omaggiato Cannes, “il festival più pazzo del mondo”.

Ognuno dei film citati avrebbe potuto vincere una Palma d’oro (non sembra siano mai stati presi in considerazione i tre film italiani: “Rapito” di Marco Bellocchio, “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti, “La chimera” di Alice Rohrwacher). Tra i titoli più apprezzati, per audacia di ambientazione e regia, c’era anche “The Zone of Interest” di Jonathan Glazer (liberamente ispirato al romanzo con lo stesso titolo di Martin Amis). Ha vinto il gran premio della giuria, a chiusura di un festival che ha messo in concorso film con un bell’avvenire nelle sale.

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