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alti e bassi

Il programma della Festa del cinema di Roma è un calderone, ma c’è qualcosa che spicca

Mariarosa Mancuso

In mezzo a film su pittori, i cui registi raramente evitano il sovraccarico di retorica, nella capitale si notano la mano del figlio di Gabriel Garcia Márquez e Andrea Bagney, presentata come la nipotina di Woody Allen

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I film sui pittori sono rischiosi. I registi quasi mai evitano il sovraccarico di retorica, che applicato all’ispirazione genera mostri. Si capisce peraltro benissimo che, in complicità con gli sceneggiatori, non fanno nulla per evitare certi orrori. Anzi, scelgono apposta il genere per seviziare chi paga il biglietto. Nel caso di Caravaggio, che come Vincent Van Gogh attira le folle – un po’ più difficile il merchandising, la riproduzione dei girasoli sta bene ovunque, il teppista-Cupido di “Omnia vincit amor” impegna di più – c’è anche la vita avventurosa e vagabonda, le risse, l’omicidio per futili motivi, la condanna papale, le prostitute scelte come modelle.

 

A Caravaggio aveva dedicato un film Derek Jarman, nel 1986. Altro stile e altra potenza, arricchita da un bel po’ di anacronismi: la macchina per scrivere, un cappello da muratore fatto con la carta di giornale. Michele Placido sceglie lo sporco realismo, adatto all’epoca e ai postacci dove Caravaggio transitava: bordelli, ospedali, taverne, carceri, e cantine quando andava bene. Gli mette alle calcagna l’Ombra, un investigatore del Vaticano che interrogando amici e nemici chiarisce i punti oscuri della vita, dell’opera, e della confusa cronologia (qualcuno deve aver suggerito ai registi italiani che scardinare i tempi è il primo passo verso il capolavoro).

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Riccardo Scamarcio è arruffato, sporco, stracciato. Le prostitute sono prese a scudisciate. I quadri si vedono poco. In Vaticano oltre ai bacchettoni c’è qualche cardinale peccatore che capisce l’arte. La coproduzione con la Francia regala Isabelle Huppert (in Colonna) doppiata malamente, mentre “l’Ombra” Louis Garrel parla italiano. Artemisia Gentileschi è agghindata come la ragazza con l’orecchino di perla dipinta da Vermeer. Un quadro vivente dopo l’altro – se ve la sentite, “L’ombra di Caravaggio” sarà nelle sale il 3 novembre.

 

La festa di Roma quest’anno ha reintrodotto il concorso, con la Lupa Capitolina come premio. Già, ma chi sta gareggiando? Nel grande e disordinato calderone (lassù all’Auditorium con benevolenza chiamato “programma”) spicca “Raymond e Ray”. Variazione sul tema “due fratellastri che non si vedono da tempo al funerale di papà”, condotta dalla mano abilissima di Rodrigo García, figlio di Gabriel García Márquez. Lo abbiamo apprezzato per “In Treatment” edizione Usa, scritta diretta e prodotta adattando la serie israeliana “Be Tipul”. 

 

Gli attori sono Ewan McGregor e Ethan Hawke, che porta alla festa anche il suo documentario a puntate sulla coppia Paul Newman & Joanne Woodward, con la partecipazione della figlia Melissa: “The Last Movie Stars” (a dicembre su Sky e in streaming su Now). “Raymond e Ray” sarà su Apple+ il prossimo venerdì, merita un premio per gli attori e uno per il regista che riesce a immaginare dettagli originali una storia mille volte sfruttata.

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Presentata come una nipotina di Woody Allen, la regista spagnola Andrea Bagney attacca con le immagini di Madrid in bianco e nero, stile Manhattan. Procede con un inno alla gattamorta, altra parola non viene in mente per Ramona, aspirante attrice indecisa a tutto che ai provini recita monologhi di “Io e Annie”. In un bar conosce un giovanotto che mette le goccine nel caffellatte: “Ho l’ansia”. Breve scambio di nevrosi e di orribili previsioni sulla sorte del pianeta, ma esiste un fidanzato già in carica.

In quota “donne che soffrono, ma per davvero”, l’algerino “Houria” di Mounia Meddour: ballerina classica malamente azzoppata e muta per il trauma, ricomincia con la danza moderna. Jennifer Lawrence il trauma l’ha avuto in guerra, in “Causeway” di Lila Neugebauer deve rieducare corpo e mente.

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