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Freaks Out, parla Mainetti: "Non un film sui supereroi, ma su uomini con super poteri"

Giuseppe Fantasia 

Al Festival del cinema di Venezia, il regista racconta al Foglio la sua seconda fatica. Sarà al cinema, non sulle piattaforme: "Mettercelo sarebbe stato ingeneroso"

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Venezia. “Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot (film visto da più di un milione di spettatori, vincitore di David, Nastri e Globi d’Oro, ndr), con Nicola Guaglianone, autore con me della sceneggiatura, ci siamo domandati: “e adesso che famo? Un sequel era fuori discussione e così abbiamo iniziato a buttare giù alcune idee, guidati da un’unica, grande domanda: “Tu cosa vorresti fare?”, perché un film deve nascere prima di tutto dalla passione, non da un calcolo”. 

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Venezia. “Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot (film visto da più di un milione di spettatori, vincitore di David, Nastri e Globi d’Oro, ndr), con Nicola Guaglianone, autore con me della sceneggiatura, ci siamo domandati: “e adesso che famo? Un sequel era fuori discussione e così abbiamo iniziato a buttare giù alcune idee, guidati da un’unica, grande domanda: “Tu cosa vorresti fare?”, perché un film deve nascere prima di tutto dalla passione, non da un calcolo”. 

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Al Lido di Venezia, Gabriele Mainetti racconta al Foglio come è nata l’idea di “Freaks Out”, il suo secondo film da regista con cui è in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Un film che ha avuto una lunga lavorazione, un budget importante (circa 14 milioni di euro) e un’attesa decisamente più lunga del previsto dopo l’ennesimo slittamento, lo scorso dicembre, per via della pandemia. Il 28 ottobre prossimo, finalmente, uscirà in sala per 01 Distribution. “Non sulle piattaforme – precisa il il regista romano, classe 1976 – perché mettercelo sarebbe stato ingeneroso nei confronti di un film come questo che ha avuto, tra l’altro, anche quattro mesi di mix, un record italiano”. “Con Nicola – continua - ci siamo visti nel mio studio ed è stato proprio lui a suggerirmi, poco dopo, mentre percorrevamo via Leonina, di ambientare la storia durante la Seconda Guerra Mondiale. Mi sono subito emozionato, come quando mi propose il super eroe di Tor Bella Monaca per il mio primo film”. 

 

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Freaks Out è nato così, dalla sfida di volerlo ambientare sullo sfondo della pagina più cupa del Novecento e il risultato è un racconto d’avventura, un romanzo di formazione oltre ad essere una riflessione sulla diversità. Per farlo, si sono avvicinati alla Roma occupata del 1943 “con emozione e rispetto”, dando però libero sfogo alla fantasia che ha permesso di “creare” i suoi quattro freak - Fulvio (un irriconoscibile, per via del trucco, Claudio Santamaria), Matilde (Aurora Giovinazzo), Cencio (Pietro Castellitto) e Mario (Giancarlo Martini) – degli individui unici e irripetibili, protagonisti di una Storia più grande di loro alle prese con i nazisti. Sono dei mostri che agiscono da uomini, in contrasto con uomini che agiscono da mostri e il loro è un “impazzire”, come suggerisce il titolo, che quando il Circo Mezzapiotta in cui vivono e lavorano è sventrato dalle bombe, li fa uscire “out” - al di fuori - in in mondo che non conoscono. Una vera e propria armata Brancaleone portatrice di diversità. “Siamo tutti diversi – aggiunge Mainetti, coproduttore del film con la sua Goon Films assieme a Lucky Red e a Rai Cinema nonché autore delle musiche con Michele Braga – ognuno a nostro modo, ed è questo che ci rende unici. Il mio non è un film sui supereroi, ma su uomini con super poteri. Non sono dei pupazzi, ma sono figli della nostra italianità che i nostri maestri cinematografici hanno raccontato con amore mettendo al centro delle loro storie i pregi, i difetti e le idiosincrasie”. 

Come in Jeeg Robot, anche qui il personaggio femminile (Matilde) è centrale ai fini della vicenda e sarà proprio lei a scoprirsi la vera guida del gruppo. “Non ci interessava inseguire un femminile falso, alla Wonder Woman, con le donne che menano come fabbri. Volevamo accompagnare una bambina alla scoperta della forza che possiede dentro di sé, che poi è la forza delle donne, che non ritrovo in me stesso e negli uomini che mi circondano, ma che ho sempre visto, da quando sono piccolo, nelle donne della mia famiglia, e adesso vedo nella mia compagna”. Premi in vista? “Chissà”, risponde lui. “Non faccio un film pensando che poi andrò a un concorso e vincerò. Certo, quando ho saputo che sarei stato in concorso con Jane Campion, Almodovar e Sorrentino, non sono stato molto bene. Faccio i film che mi piacerebbe vedere con un unico obiettivo: intrattenere il pubblico con l’originalità”. 

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