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Sono morti Segal e Tavernier ma l’internazionale del cordoglio rimane fredda

Mariarosa Mancuso

I francesi erano commossi per il loro amatissimo regista, gli americani per il loro attore comico e drammatico, uno dei primi a conservare il cognome di origine ebraica. Ma non scatta il lutto collettivo

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Capitava che morisse un attore o un regista molto in là con gli anni (vale anche per le femmine, solo uno sciocco sgrammaticato potrebbe pensare che no). Non sapevo neanche che fosse vivo, era la reazione, un po’ scherzosa ma non del tutto. Di tanti si era veramente persa ogni traccia cinematografica. Noi, e quelli che sui social di mestiere fanno le prefiche (erano le signore che nell’antica Grecia, e poi nel sud, di mestiere piangevano alle cerimonie funebri): un tweet commosso ogni morto famoso, l’equivalente di imboscarsi ai funerali. Questa settimana sono morti George Segal e Bertrand Tavernier. 87 anni l’americano, 79 il francese, neanche in età di vaccinazione. Sapevamo benissimo che erano vivi. Sapevamo altrettanto bene che non sarebbe scattato il lutto collettivo. Non in Italia. I francesi erano commossi per il loro amatissimo regista, gli americani per il loro attore comico e drammatico, uno dei primi a conservare il cognome di origine ebraica.

 

L’internazionale del cordoglio è rimasta fredda. Troppo faticoso ricordare chi era l’attore che, tra mille altri ruoli, era il maschio dell’altra coppia – che assiste stupefatta al litigio – in “Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Mike Nichols. Tutti ricordano Elizabeth Taylor e Richard Burton, George Segal passa in secondo piano (per non dire della deliziosa Sandy Dennis, l’attrice che fa sua moglie, già defunta nel 1992, inutile segnarsela per un prossimo tweet).

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Troppo faticoso ricordare il regista Tavernier, che tra decine di altri titoli nel 1980 ha girato “La morte in diretta”. Trama: Romy Schneider fabbrica romanzi d’amore con un computer, riciclando situazioni già sfruttate (sta nel futuro, ma possiamo garantire che anche quelli fatti a mano sono ugualmente ripetitivi). Un’emittente televisiva, sapendo che le restano due mesi di vita, le offre un contratto per morire davanti alle telecamere. Lei firma il contratto e scappa. La segue Harvey Keitel, cronista con le telecamere impiantate dentro gli occhi.

 

L’anno dopo, arrivò “Colpo di spugna”, e ci vuole un bel coraggio, da francese, per adattare il più tremendo romanzo del nerissimo Jim Thompson. Prendendo come sfondo l’Africa occidentale del 1938. Ricuperare i film di Bertrand Tavernier è un’impresa – prevedibilmente ormai, anche nell’epoca in cui “su internet c’è tutto”. Va un po’ meglio con George Segal. Potete tentare con “California Poker” di Robert Altman, dove recita accanto a Elliott Gould. O “Senza un filo di classe”, di Carl Reiner: avvocato che deve badare alla vecchia madre ebrea, demente e bisbetica, che caccia via tutte le infermiere. Lei è Ruth Gordon, la vecchietta di “Harold e Maude”. Tranquilli, niente da twittare, è già defunta da un pezzo. Pure il regista Hal Ashby. Colonna sonora di Cat Stevens, molto prima che decidesse di farsi chiamare Yusuf Islam.

 

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