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Una carriera di buoni sentimenti non è per tutti. Boseman era un’eccezione

Mariarosa Mancuso

L’attore di Black Panther, l’orgoglio nero lontano dagli slogan perbenisti

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Ora che il re di Wakanda è morto giovane, raggiungendo nel paradiso degli attori il biondissimo Heath Ledger (Heath come Heathcliffe, da “Cime tempestose” di Emily Brontë), sarebbe il momento per imparare a distinguere i film con i supereroi. Ci sono i bellissimi. E gli altri, ripetitivi e inutili (è un genere, mica tutti i gialli sfornati dagli scrittori italiani sono necessari e appassionanti).

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Ora che il re di Wakanda è morto giovane, raggiungendo nel paradiso degli attori il biondissimo Heath Ledger (Heath come Heathcliffe, da “Cime tempestose” di Emily Brontë), sarebbe il momento per imparare a distinguere i film con i supereroi. Ci sono i bellissimi. E gli altri, ripetitivi e inutili (è un genere, mica tutti i gialli sfornati dagli scrittori italiani sono necessari e appassionanti).

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“Black Panther” di Ryan Coogler – dove Chadwick Boseman era il re di Wakanda – staterello africano ricco di risorse naturali e avanzatissimo nella tecnologia, ma il mondo non lo deve sapere – era splendido e intelligente. L’orgoglio nero raccontato al cinema, lontanissimo da film come “Moonlight” di Barry Jenkins o “Green Book” di Peter Farrelly: entrambi premiati con l’Oscar e apprezzati dalle professoresse democratiche che al cinema pretendono striscioni, proclami, buoni sentimenti.

 

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Era previsto un “Black Panther 2”, sempre diretto da Ryan Coogler. Leggi, il regista che debuttò nel 2013 con “Prossima fermata Fruitvale Station”: la storia vera di Oscar Grant, ammazzato in metropolitana a Oakland da un poliziotto bianco, l’ultima notte del 2009. Ha fatto il grande salto dal film indipendente al blockbuster – chi dice che Hollywood non valorizza talenti e minoranze? – e ha scelto Chadwick Boseman.

 

Era così identificato con il personaggio che pare difficile immaginare un altro nella tuta nera di T’Challa. Stanno perfino pensando di ambientare la prossima storia in un universo parallelo. O di promuovere a regina la sorella, la sveglissima principessa Shuri (l’attrice si chiama Letitia Wright). Problema serio, il film era previsto per il 2022 (il primo aveva incassato nel mondo quasi un miliardo e mezzo di dollari, record assoluto per un film dove l’unico bianco era idiota).

 

Prima e dopo “Black Panther” (oltre al monografico, c’erano state le apparizioni in “Captain America: Civil War” e in “The Avengers”, l’Universo Marvel è tutto collegato) Chadwick Boseman aveva collezionato una bella serie di eroi neri. Era stato Jackie Robinson, primo campione di baseball nero, in “42” di Brian Helgeland. Era stato l’avvocato, e attivista per i diritti civili, Thurgood Marshall in “Marcia per la libertà” di Reginald Hudlin. Era stato James Brown con il ciuffo cotonato in “Get on Up” di Tate Taylor (playback, sui brani originali). Una carriera di buoni sentimenti, che avrebbe potuto guastare la carriera di un attore meno bravo. La dignità – fa notare il New York Times – è difficile da rendere sullo schermo, rischia di venire a noia. Lo spettatore preferisce i cattivi, ma è pur vero che di questi tempi a mettere in un film un cattivo di pelle nera ci si avvia – come minimo – verso uno shitstorm.

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Ha interrotto la catena dei santini Spike Lee, in “Da 5 Bloods” – lui può farlo. Gli ha dato la parte di Stormin’ Norman, il soldato che in Vietnam trova l’oro che serviva per pagare i collaborazionisti. Lo seppellisce, pensando che tornerà a prenderlo. Torneranno soltanto i suoi amici, per dare alle sue ossa onorata sepoltura.

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