PUBBLICITÁ

Oltre cento anni di nudi al cinema raccontati nel docufilm di Danny Wolf

<p>Da Claudette Colbert,&nbsp;coperta solo di schiuma nella vasca da bagno, alla gustosa intervista di Malcolm&nbsp;McDowell. &ldquo;Skin: A History of Nudity in the Movies&rdquo;, un viaggio cinematografico tra&nbsp;esposizioni e censure</p>

Mariarosa Mancuso
PUBBLICITÁ

In “Molto incinta”, Seth Rogen cerca un modo per mantenere il figlio che nascerà (conseguenza di una sveltina in discoteca). Il bamboccione ha 23 anni, campa con il sussidio ricevuto per un infortunio. Durante un brainstorming con amici più fumati di lui decide che diventerà ricco mettendo su un sito tutti i nudi del cinema, divisi in tette e culi. Gli devono spiegare – nel film di Judd Apatow, 2007 – che non è un’idea originale (ogni nuovo mezzo tecnico scatena immediatamente le porcellate: oggi sembra roba da bambini, ma parecchi adulti hanno cercato di fotocopiarsi le chiappe, per non dire altro).

PUBBLICITÁ

  

Il sito “Mr. Skin” esiste dal 1999 (adesso ha anche il suo podcast, come tutti, anche se commentare tette e culi senza foto sa di acrobazia). Si occupa del sito un certo Jim McBride: lo ritroviamo tra i produttori esecutivi di “Skin: A History of Nudity in the Movies”, documentario diretto da Danny Wolf (on demand, purtroppo non fuori dagli Stati Uniti). Un pioniere, a modo suo: nel 2006 aveva prodotto la serie “Un affare di famiglia” – la famiglia lavorava nel porno, un episodio si intitola “Buttocks and bagels”, sempre chiappe ma l’accostamento è originale.

   

PUBBLICITÁ

Pagato l’obolo al #MeToo – abbiamo raccolto questi nudi con l’occhio dello storico del cinema, mica è voyeurismo, e abbiamo messo anche i maschi – il documentario racconta oltre cento anni di esposizioni e censure. Visto che parliamo di maschi (e che un regista come Judd Apatow piazza sempre un full frontal nei suoi film, per compensare le femmine sempre spogliate) c’è la scena della lotta tra Alan Bates e Oliver Reed nel film “Donne in amore” di Ken Russell, tratto dal romanzo di David H. Lawrence.

    

Più gustosa l’intervista a Malcolm McDowell, nudo in “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick (con un tavolo e uno schedario a far da paravento). Rifiutò invece di levarsi la toga in “Caligola” di Tinto Brass, nei favolosi anni 70. “Erotical historical drama” dice Wikipedia: in anni più pudichi dei nostri le orge non si facevano a pochi passi dal Vaticano, come suggerisce la serie “Suburra”, ma tornando indietro nel tempo, alla corte di certi imperatori depravati. Come che sia, Malcolm McDowell racconta che sir John Gielgud – finito anche lui su quel set assieme a Helen Mirren e Peter O’ Toole, il produttore era Bob Guccione di Penthouse – osservava attentamente e commentava tutti i maschi nudi sul set.

  

Le donne spogliate sono tantissime, qualcuna si è anche pentita nel frattempo. A partire da “Intolerance” di David W. Griffith: la storia dell’intolleranza comincia a Babilonia, non si può pretendere puritanesimo, laggiù. Poi arrivò il Codice Hays, e i registi si misero d’impegno a suggerire le sconcezze. Prima, Claudette Colbert stava nuda nella vasca da bagno, coperta solo di schiuma. Ai cercatori non sfugge una “Alice nel paese delle meraviglie” vietatissima ai minori. Sotto gli occhi di tutti era Richard Gere in “American Gigolo”. Ma si sussurrava che il contratto gli desse diritto a una controfigura per le scene di nudo.

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ