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Omicidio su Zoom

<p>Il talentuoso Rob Savage riprende il filone degli horror al telefono e lo attualizza ai tempi delle videochiamate</p>

Mariarosa Mancuso
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Horror con telefono fisso appeso al muro? Fatto, in “La scala a chiocciola” di Robert Siodmak, 1946: la ragazza inseguita dal maniaco trova l’apparecchio ma è muta. Horror con telefono nero di bachelite sul tavolino del salotto? Fatto, ne “Il delitto perfetto” di Alfred Hitchcock – “Dial M for Murder” il titolo originale – Grace Kelly si alza in camicia da notte per rispondere, e il killer tenta lo strangolamento (il marito l’ha chiamata da un telefono pubblico a muro, sta in ascolto e sente i gemiti). Horror con cabina telefonica? Fatto, in “Phone Booth” di Joel Schumacher Colin Farrell risponde a uno squillo da un apparecchio pubblico e un assassino lo tiene sotto tiro. Horror con il telefono cellulare? Fatto, in “Cellular”: la rapita Kim Basinger chiama un numero a caso, risponde Chris Evans che è l’unica speranza, ma non gli credono.

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Mancava la videochiamata di gruppo su Zoom, incubo da confinamento casalingo da pandemia. L’ha trasformata in un film horror Rob Savage. Un giorno decise di fare uno scherzo agli amici con cui chiacchierava e prendeva l’aperitivo. Disse, collegato in video: “Ho sentito dei rumori in soffitta”, andò in cucina a prendere un coltello (per dar maggiore credibilità all’allarme), salì la scala verso il buio, inquadrò con lo smartphone vecchie scartoffie, e poi zàcchete, ecco spuntare il mostro bavoso con gli occhi iniettati di sangue. Erano fotogrammi presi da un film dell’orrore, sembrerebbe lo spagnolo “Rec”, e abilmente montati. Le reazioni degli amici sono spettacolari, e se già in questo mini-film di due minuti erano complici dimostrano una notevole bravura.

    

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Vari milioni di visualizzazioni hanno spinto il regista di cortometraggi Rob Savage, con gli amici sceneggiatori Jad Shepherd e Gemma Hurley, a fare sul serio. Scrivendo e producendo un film di 57 minuti – titolo: “Host” – che ora si può vedere su shudder.com (“shudder” come “sussulto”, o “brivido” di paura alla schiena). Tre mesi e il film era pronto, rispetto alla versione casalinga c’è un medium, che a un certo punto della videochiamata scompare.

   

E’ bastato per scatenare una guerra tra case di produzione, tutte volevano mettere sotto contratto i due giovanotti. L’ha vinta Sam Raimi, il regista della saga horror “La casa”, quattro film più una serie televisiva, e della prima trilogia “Spider-Man”, uscita a ridosso dell’11 settembre (“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” suonava più solenne del solito). En passant: la leggenda che i giovani talenti non vengono riconosciuti e anzi vengono ostacolati è appunto una leggenda senza fondamento. In presenza di talenti, naturalmente.

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Noi eravamo lì a dire “non sento niente… non ti vedo più…” per non parlare della qualità misera di certe interviste Skype che passavano in tv (basterebbe a gente di buon senso per mettere nell’agenda di governo “5G per tutti, e subito”). Intrepidi giovanotti passavano in un balzo da una burla casalinga a una recensione sul New York Times. Dove spiegano tutto in due parole: “Lockdown boredom”. Noi poveri di spirito ci annoiavamo e basta.

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