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la polemica contro netflix

Cari registi, se sentiamo il bisogno di velocizzare i vostri film è perché sono lenti

Mariarosa Mancuso

Netflix dà la possibilità di accelerare o rallentare la velocità di riproduzione. Ma se certe serie e certi film sembrano non partire mai la piattaforma ha la sua bella responsabilità

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Judd Apatow è pronto a scatenare l’inferno. Prima ha avvertito i dirigenti di Netflix: “Non fatelo, o chiamerò a raccolta tutti i registi e gli showrunner della Terra. Sprecherò un sacco di tempo ma alla fine vinciamo noi”. Nel caso la minaccia non fosse abbastanza chiara, ha aggiunto su Twitter “Don’t fuck with our timing”: “I tempi di un film o di una serie li decidiamo noi”.

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Judd Apatow è pronto a scatenare l’inferno. Prima ha avvertito i dirigenti di Netflix: “Non fatelo, o chiamerò a raccolta tutti i registi e gli showrunner della Terra. Sprecherò un sacco di tempo ma alla fine vinciamo noi”. Nel caso la minaccia non fosse abbastanza chiara, ha aggiunto su Twitter “Don’t fuck with our timing”: “I tempi di un film o di una serie li decidiamo noi”.

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Per ora ha vinto Netflix. Chi guarda i film e le serie con il sistema operativo Android ha la possibilità di accelerare o rallentare la velocità di riproduzione (poi arriverà anche per gli altri). L’ha annunciato un paio di giorni fa, ovviamente ci sono i favorevoli e i contrari. Tra i favorevoli, le associazioni americane dei ciechi e dei sordi – così dicono nel paese che ha inventato la correttezza politica, Blind e Deaf, e così traduciamo. Rallentare i sottotitoli serve a leggerli meglio, anche l’audio rallentato aiuta. Chi non vede le immagini apprezza invece l’audio riprodotto più velocemente, rispetto a chi le vede. Si capisce che neanche Judd Apatow potrà farcela, a fronte di una mossa tanto inclusiva.

  

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Tante volte abbiamo sognato il tasto “avanti veloce” guardando certi film da festival (un buon numero saranno quest’anno alla Mostra di Venezia, le lodi preventive danno i brividi: “Sorprendente rigore formale”. Oppure: “Rigorosi e ripetitivi movimenti di macchina”). Di certo non siamo contrari. E’ strano comunque che a proporlo sia il Nemico Numero 1 del ritmo narrativo. Quando le serie avevano scadenza settimanale, al primo episodio toccava mettere in scena i personaggi in una situazione interessante. Per perdersi e sfilacciarsi c’era tempo, l’inizio doveva risplendere e avvincere.

  

Prendiamo “Lost” di Abrams & Co, partito sulla Abc nel 2004. Si è complicato sfidando ogni tentativo di riassunto, ma in partenza era una robinsonata: naufraghi sull’isola deserta, con storie interessanti da raccontare. Tutto cambia nel 2013, con “House of Cards” – se ne potrà ancora parlare, o bisogna cancellarlo come abbiamo fatto con Kevin Spacey? Una stagione intera disponibile il giorno del lancio, nessun incentivo per partire a razzo e fare impennare gli ascolti. Però, somma gentilezza, Netflix consente di saltare i titoli di testa e di coda per facilitare il binge watching. In compenso tiene gelosamente per sé i dati d’ascolto.

 

Se certe serie e certi film sembrano non partire mai (e neppure finire, ma questa è un’altra storia) Netflix ha la sua bella responsabilità. Ha preso un genere articolato – in stagioni ed episodi, di durate diverse a seconda del genere – e lo ha smarmellato in orridi mostri di cui i registi vanno fieri: “Non la classica serie, pensatelo come un film di otto ore”. Noi, che certe lunghezze da cineclub le abbiamo sperimentate in corpore vili, fuggiamo alla sola idea. Fatta salva l’inclusività, le lungaggini vanno tagliate nel copione prima e nel montaggio poi. Se lo spettatore sente il bisogno di andare più veloce, vuol dire che il film o la serie andavano troppo lenti. Persi nel loro artistico esibizionismo.

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