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Il remake di “Scene da un matrimonio” rischia di essere più noioso dell’originale

Mariarosa Mancuso

Hagai Levi rimette mano alla miniserie di Ingmar Bergman. Ma raccontare oggi il fallimento di un matrimonio nasconde troppi tranelli per la sceneggiatura

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La notizia è che rifaranno “Scene da un matrimonio”, la miniserie girata nel 1973 da Ingmar Bergman per la tv svedese – cinque ore per sei episodi, e una versione light di tre ore per il cinema. La Hbo ha annunciato il cast: Michelle Williams nella parte che fu di Liv Ullmann e Oscar Isaac nella parte che fu di Erland Josephson. Sarà una delle prime produzioni a ripartire dopo il fermo imposto dal Covid-19: scelta vantaggiosa, si può fare tutto dentro un paio di stanze con due attori che parlano, parlano e ancora parlano. Vivisezionando un matrimonio che sembrava perfetto e invece è finito, come tutti, tra risse e rivendicazioni. Se servisse un inno all’inutilità del dialogo coniugale, inutile cercare altrove.

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La notizia è che rifaranno “Scene da un matrimonio”, la miniserie girata nel 1973 da Ingmar Bergman per la tv svedese – cinque ore per sei episodi, e una versione light di tre ore per il cinema. La Hbo ha annunciato il cast: Michelle Williams nella parte che fu di Liv Ullmann e Oscar Isaac nella parte che fu di Erland Josephson. Sarà una delle prime produzioni a ripartire dopo il fermo imposto dal Covid-19: scelta vantaggiosa, si può fare tutto dentro un paio di stanze con due attori che parlano, parlano e ancora parlano. Vivisezionando un matrimonio che sembrava perfetto e invece è finito, come tutti, tra risse e rivendicazioni. Se servisse un inno all’inutilità del dialogo coniugale, inutile cercare altrove.

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Non era poi così urgente, il remake. L’anno scorso – ma ormai sembra un secolo, effetto del virus – avevamo visto (più d’uno piangendo tutte le sue lacrime) “Storia di un matrimonio” di Noah Baumbach, con Scarlett Johansson e Adam Driver. Bello, moderno, con l’avvocatessa Laura Dern che grondava sangue dai tacchi a spillo, pronta ad affondarli nel costato della parte avversa, in tribunale o altrove. Come Bergman (nel senso che anche questo film era vita vissuta dal regista), ma più veloce, scattante, e – diciamo la verità – con una coppia che, volendo identificarsi, risulta più attraente del barbuto e della tormentata.

 

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Impeccabile la scelta dello showrunner Hagai Levi. Viene da “The Affair”, serie partita bene grazie al gioco dei punti di vista (mai come nelle faccende amorose ognuno racconta le storie a modo suo), finché il gioco dei punti di vista è diventato noioso. Prima si era fatto le ossa con “BeTipul”, la serie israeliana che nella versione americana (e italiana, diretta da Saverio Costanzo) si chiama “In Treatment”. Manca invece all’appello “Our Boys”, la storia vera di tre ragazzi israeliani rapiti e uccisi da Hamas, e di quel che seguì.

 

Ci vorrà una bella rispolverata: non è tanto verosimile che una coppia americana di oggi vada a vedere “Casa di bambola” e torni a casa così turbata da riflettere sul proprio matrimonio. E mettersi a litigare, dopo aver proclamato in casa di amici, tutti più o meno in crisi, “siamo la coppia più bella del mondo”. Peggio sarà evitare tutte le trappole e i tranelli che una storia nata negli anni Settanta, e nella scostumata Svezia, tende all’incauto sceneggiatore.

 

Lui si dichiara egoista. Lei crede nell’amore per il prossimo (e che nessuno venga a celebrare Bergman come regista capace di sfumature, per favore). Lui dopo un po’ confessa di avere una relazione con una giovane sua studentessa. Anche su al nord, e anche nei libertari anni 70, è sempre questione di corna.

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Già, ma oggi la materia scatena censure e fa urlare alla presunta violenza. Di più: un professore con l’allieva, come un tempo le sigarette, mettono subito il malcapitato dalla parte del torto. Se le davano anche di santa ragione, i due divorziandi. Altra scena da cancellare. Auguri, Hagai Levi: aggiusta di qua, taglia di là, e aggiungi gli smartphone, verrà più noioso del Bergman originale.

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