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“Ritorno al futuro” dimostra che la quarantena non è solo pane fatto in casa

<p>La seconda puntata della saga, piu&rsquo; assurda della prima</p>

Mariarosa Mancuso
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C’erano modi migliori per occupare il tempo in quarantena, lasciando ai professionisti i lieviti e la panificazione (con gli svolazzi lirici sulla medesima). Va registrato comunque il prossimo passaggio: l’apicoltura, così come viene raccontata da Helen Jukes in Il cuore di un’ape. Il mio anno da apicoltrice di città. Helen – diffidare dei libri in cui il nome in copertina coincide con quello della protagonista – viveva di lavori precari e amori altrettanto, prima di comprarsi un’arnia dove allevare api cittadine. E imparare a prendersi cura di sé. Faccenda sacrosanta, ma davvero bisogna passare dalle api? Una volta, gli anni degni di nota e di narrazione erano spesi a leggere Marcel Proust.

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C’erano modi migliori, abbiamo le prove. Taylor Morden era chiuso in casa come tutti, da tre settimane, quando gli venne l’idea di rifare “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis. La seconda puntata della saga, più assurda della prima: con la DeLorean che va a rifiuti viaggiano nel futuro per rimediare a un guaio in cui si troverà coinvolto il figlio di Marty. Gli attori passano da un’età all’altra recitando lo stesso personaggio, con un tremendo effetto di autoparodia, adattissima al Progetto 88. Come 88 miglia, quando la DeLorean con le portiere tipo ali di gabbiano schizza lungo la freccia del tempo. Volendo, anche come Progetto Elvira, il libro dove Tommaso Labranca aveva dissezionato “Il vedovo” di Dino Risi, con Alberto Sordi e Franca Valeri.

 

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88 erano i segmenti del film, affidati a qualche centinaio di registi volontari. Ognuno aveva una settimana per girare una scena, rispettando la sceneggiatura originale e le regole di distanziamento sociale. Tutto il resto era libero: colore, bianco e nero, live action, animazione, pupazzi, attori adulti o attori bambini. Volendo anche i manichini, i gatti e i neonati, le patate o le figurine Lego, con trucco realistico o strizzatina d’occhio ai superfan. Ne è uscita una follia con un suo metodo, divertentissima da guardare. Doc Brown, lo scienziato pazzo, ha in testa ogni tipo di parrucca e da una sequenza all’altra cambia età, o diventa un personaggio di South Park. Marty in una scena ha la faccia di una ragazzina e nella scena successiva diventa una banana o una silhouette.

 

Il sapiente montaggio di Taylor Morden ha fatto il resto. Su YouTube “Project 88: Back To The Future Too” (scritto esattamente così) è stato visto 100 mila volte in una settimana. Grande omaggio all’originale, uscito il 3 luglio di 35 anni fa – un film generazionale come lo era stato qualche anno prima “E. T. L’extraterrestre” di Steven Spielberg. Cose così una volta sarebbero finite nei musei. Lì, tra la Tate Modern di Londra e il Lincoln Center di New York ha fatto il suo giro “The Clock” di Christian Marclay: 24 ore di spezzoni cinematografici che segnano sempre l’ora giusta. L’avanguardia tanto celebrata e tanto riverita è diventata un gioco collettivo su internet. Chi ancora avrà il coraggio di sostenere che non viviamo nel migliore dei mondi possibili?

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