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Storia di un maschio italiano all'estero

Mariarosa Mancuso

Zalone in "Tolo Tolo" non capisce niente di quel che succede attorno a lui, ma si propone come faro di qualunque causa e civiltà, sushi o cremina per il contorno occhi

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Monsieur Hulot va in Africa. Al personaggio di Jacques Tati somiglia ormai Checco Zalone, sagoma che un paio di film fa girava nel paesello calabrese tra i vecchi di nero vestiti cercando bambini (“sono alti più o meno così, giocano…”) e in Africa ha il terrore di essere finito “in un villaggio family? Con il miniclub?”. Sembra incredibile che i più brillanti cervelli del paese, e anche quelli così così, stiano accapigliandosi per decidere se “Tolo Tolo” è pro o contro gli immigrati. Se è un film buonista o cattivista. Se Checco Zalone – per la verità Luca Medici, ma è difficile tenerli separati – come il pifferaio magico ha attirato le genti al cinema con una canzoncina che sfotteva l’uomo nero, per poi farle precipitare dalla rupe con tutto il loro sovranismo. 

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Monsieur Hulot va in Africa. Al personaggio di Jacques Tati somiglia ormai Checco Zalone, sagoma che un paio di film fa girava nel paesello calabrese tra i vecchi di nero vestiti cercando bambini (“sono alti più o meno così, giocano…”) e in Africa ha il terrore di essere finito “in un villaggio family? Con il miniclub?”. Sembra incredibile che i più brillanti cervelli del paese, e anche quelli così così, stiano accapigliandosi per decidere se “Tolo Tolo” è pro o contro gli immigrati. Se è un film buonista o cattivista. Se Checco Zalone – per la verità Luca Medici, ma è difficile tenerli separati – come il pifferaio magico ha attirato le genti al cinema con una canzoncina che sfotteva l’uomo nero, per poi farle precipitare dalla rupe con tutto il loro sovranismo. 

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“Il maschio irlandese in patria e all’estero”: lo scrittore dublinese Joseph O’ Connor aveva intitolato così i suoi racconti satirici. Checco Zalone è il maschio italiano (varietà pugliese ma non cambia poi tanto) in patria e all’estero. “Tolo Tolo” è il capitolo “estero”, già iniziato con “Quo vado?” (o bisognava restare per sempre a sfottere la pizzica?). E cosa puoi fare se in Italia il più scemo della classe scala i gradini della carriera politica nel breve periodo in cui tu sei misteriosamente scomparso in Africa? Altro che posto fisso: lì c’erano regole, gavette, graduatorie, parenti a carico da far valere, certificati, cartellini timbrati con l’inganno. Sui riti della Prima Repubblica abbiamo riso sgangheratamente, qui la ferita è ancora fresca, e comunque il comico non guarisce, affonda il dito. 

 

 

Checco ha un sogno, che la Puglia si apra al sushi (esentasse, esente Iva, senza contributi). Scappa in Africa per sfuggire ai parenti che dovrebbero rispondere “in solido” del fallimento. E ovunque si trovi, esibisce l’azzeccatissima e comica miscela: non capisce niente di quel che succede attorno a lui, ma si propone come faro di qualunque causa e civiltà, sushi o cremina per il contorno occhi. Chiede “ma nessuno parla inglese qui?” e appena un giovanotto gli risponde Zalone non spiccica parola. Ha una sola idea ben piantata in testa, e la dice in musica con accompagnamento di coro nerissimo: “La gnocca salva l’Africa”. Il pullman è da fumetto, e quando Zalone lo supera fa il gestaccio: davvero ci vedete un discorso sullo stato del mondo? A Firenze, in un altro musicarello, il David è diventato nero con il pisello pixelato. 

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Nichi Vendola in giardino pota le rose, e si esibisce in uno dei migliori “Nichi, ma che stai a di’?” (copyright Claudio Cerasa) di sempre. In gara con il fotografo “o che povertà! o che dignità! i miserabili sono quelli che hanno solo i soldi”, poi fa il testimonial delle creme anti occhiaie. L’one-man-show di Checco Zalone – ha scritto anche le musiche, debolissime le tracce lasciate da Paolo Virzì – è decisamente riuscito.

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