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Addio a Buck Henry, sceneggiatore affamato di trama e personaggi

Mariarosa Mancuso

Da “Il laureato” a “Il paradiso può attendere”

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Voglio dirti una sola parola: plastica. L’avvenire del mondo è nella plastica. Pensaci!”. Se lo sente dire ne “Il laureato” il giovane Ben: Dustin Hoffman con la faccia da giovanotto senza arte né parte, e comunque al momento ingolosito soprattutto dalle gambe di Mrs Robinson. Dobbiamo la felice sintesi allo sceneggiatore Buck Henry, che non fu neanche la prima scelta. Il regista Mike Nichols aveva già respinto un paio di copioni tratti dal romanzo di Charles Webb (a furia di riscrivere erano quasi finiti i soldi).

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Voglio dirti una sola parola: plastica. L’avvenire del mondo è nella plastica. Pensaci!”. Se lo sente dire ne “Il laureato” il giovane Ben: Dustin Hoffman con la faccia da giovanotto senza arte né parte, e comunque al momento ingolosito soprattutto dalle gambe di Mrs Robinson. Dobbiamo la felice sintesi allo sceneggiatore Buck Henry, che non fu neanche la prima scelta. Il regista Mike Nichols aveva già respinto un paio di copioni tratti dal romanzo di Charles Webb (a furia di riscrivere erano quasi finiti i soldi).

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Il terzo uomo – Buck Henry, morto oggi a 89 anni – gli sembrava un tipo serissimo e insieme spassoso. Uno che prima di cominciare leggeva e rileggeva i libri: non gli bastavano la trama e i personaggi, voleva catturare la voce dello scrittore. Uno che al centro del suo salotto aveva piazzato una bottiglia di ketchup Heinz alta un metro e ottanta (plastica, naturalmente). “L’ho comprata perché non ne avevo una”, raccontava agli amici. “Quando morirà, povera creatura, la farò galleggiare in una piscina di Beverly Hills” (tale e quale allo sceneggiatore morto in “Viale del Tramonto” di Billy Wilder, un’idea simile non sarebbe spiaciuta neppure a Andy Warhol).

 

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Buck Henry aveva letto otto volte “Il laureato”, per poi ricavarne l’ingratitudine di Charles Webb, convinto che tutto fosse già nel libro, e che il successo cinematografico avrebbe guastato la sua immagine di scrittore serio, che vergogna gli Oscar. Per “Comma 22” di Joseph Heller – altro film diretto da Mike Nichols nel 1970, tre anni dopo le tentazioni del giovane Ben e di Mrs Robinson con la sua calza di seta nera – servirono una ventina di letture. Ne uscì un mostruoso copione di 300 pagine, pari a sei ore di film: Buck Henry non voleva sacrificare nessun personaggio. Fece ordine e pulizia assieme al regista, in una settimana di furioso taglia e ri-cuci: da cinquanta diventarono trenta. Chi ricorda il film, sa che altri proprio non ce ne stavano, sarebbe diventato un elenco telefonico.

 

Buck Henry era un lettore compulsivo anche nella vita, gli amici parlano della favolosa cifra di 200 riviste al mese (leggeva anche quando portava fuori il cane, con la pila se era notte). Altri lo descrivono come un “gattone ricco, felice, tranquillo e divertente”, che oltre a riservarsi una particina nei film che sceneggiava faceva seriamente l’attore, e aveva una passione per la tv (“il segreto è scrivere tutti i giorni”). Tra i film dove abbiamo visto la sua faccia – senza accoppiarla con il nome stampato sugli assegni da 200 mila dollari a film che incassava negli anni Settanta, il New York Times titolava un suo ritratto “Hollywood’s Hottest Writer” – ”I figli degli uomini” di Alfonso Cuarón e “Short Cuts-America oggi” di Robert Altman, tratto dai racconti di Raymond Carver. Sua anche la sceneggiatura di “To Die For”: l’unico film di Gus Van Sant con trama e brio comico.

 

Lo sceneggiatore di “Ma papà ti manda sola?” (di Peter Bogdanovich, con Barbra Streisand e Ryan O’Neal) ha diretto un solo film, “Il paradiso può attendere” con Warren Beatty: un giocatore di baseball arriva in paradiso troppo presto, e devono trovargli un altro corpo – il suo è stato cremato – per rimediare all’errore. In televisione, Buck Henry vuol dire (soprattutto) “Saturday Night Live”. Era il cliente del “Samurai Deli”, con John Belushi vestito da samurai che spezzava i panini a testate e con la spada apriva il ketchup. Era il padre-autista del nerd Bill Murray che portava la ragazza al ballo della scuola. Era “Creepy Uncle Roy”, che terrorizzava i bambini a lui affidati.

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