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Il romanzo di Victor Hugo ambientato nelle banlieue parigine

Mariarosa Mancuso

La riedizione di “Les Misérables” è il miglior film a Cannes. Ken Loach è sempre uguale a se stesso 

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A volte ritornano. E ritornano. E ritornano. Jim Jarmusch ha aperto il festival di Cannes sotto il segno dei morti viventi, con “The Dead Don’t Die”. Tradizione americana, che fa capo ai cimiteri inquieti nei film di George Romero. In “Atlantique”, debutto della regista senegalese Mati Diop, gli zombie arrivano dall’oceano. A parte le pupille bianche, non sono famelici né mezzi marci – eppure ne avrebbero motivo, hanno fatto naufragio su una barchetta nel tentativo di lasciare la periferia di Dakar per posti meno squallidi. Vogliono solo chiudere qualche conto, in denaro o in amore. Bertrand Bonello chiuderà l’un-due-tre alla Quinzaine, sezione parallela, con un film ambientato a Haiti. Altra terra di morti che non vogliono starsene in pace nella tomba: è bello sapere che anche i registi d’arte e cultura si nutrono di roba pop.

 

“Atlantique” è una delle incursioni nella miseria del mondo finora proposte dal programma festivaliero. Più o meno riuscite, più o meno originali, più o meno accorate. In cima alla lista dei film da consigliare agli spettatori paganti, sta senz’altro “Les Misérables” di Ladj Ly, regista e sceneggiatore nato a Montfermeil, dove Victor Hugo fa incontrare Cosetta e Jean Valjean (l’ex forzato sottrae la ragazzina ai Thénardier che la tengono schiava). A metà Ottocento era un villaggio nei boschi, ora è una banlieue dove i poliziotti entrano a loro rischio e pericolo.

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Sono tre, due veterani che da tempo fanno coppia, e il nuovo arrivato che consente di mettere a fuoco le varie tribù. Fratelli musulmani che offrono kebab e indottrinamento, zingari con il loro circo, donne con il velo che hanno messo su un’associazione di mutuo soccorso per i bisognosi, i ragazzini che vanno sotto la Tour Eiffel per festeggiare “les Bleus” campioni del mondo. Uno di loro ruba un leoncino agli zingari, un agente spara un razzo e quasi cava un occhio al ragazzino. La rivolta ha inizio, anche per ricuperare la memoria di un drone che ha filmato le scorrettezze degli agenti, portatori di idee diverse sull’ordine pubblico. Caos e fiamme, governate benissimo dal regista che finora aveva girato solo un cortometraggio.

 

Ken Loach aveva annunciato il suo ritiro prima della sua seconda Palma d’oro, vinta nel 2016 con “Io, Daniel Blake”. E invece rieccolo, in concorso a quasi 83 anni con “Sorry we Missed You”, scritto dal suo eterno sceneggiatore Paul Laverty. La trama si intuisce dalla prima scena: il capofamiglia che ha perso il lavoro e inizia la consegna dei pacchi a cottimo fa tutte le scelte sbagliate possibili, mentre la consorte aiuta i vecchietti a domicilio. Un lungo spot per Jeremy Corbyn, e la solita ostinata avversione ai padroni, al sistema sanitario britannico, al capitalismo sempre dannatamente malvagio. Ai suoi fan piace così, e quando escono dal cinema si sentono personcine migliori.

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