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Il sublime cinematografico non ha niente a che fare con le Alpi innevate

Mariarosa Mancuso

Cosa sono le screwball comedy? Se vi volete così male da non averne visto mai uno, cominciate da “L’orribile verità” di Leo McCarey

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Il sublime esiste anche nel cinema. Non somiglia per niente allo sguardo del viaggiatore davanti al maestoso spettacolo delle Alpi innevate, né ad altri articoli della stessa categoria merceologica. Ma non possiamo restare sempre fermi al Grand Tour. E da quando abbiamo letto che Madame Bovary avrebbe voluto portare sulle cime un pianoforte con annesso pianista, incaricato di suonare melodie altrettanto sublimi, abbiamo capito che quel sublime sarebbe finito malissimo. Come i quadri degli impressionisti sulle scatole dei cioccolatini. O gli omini di Basquiat sulle tovagliette all’americana e i guantoni da forno.

 

Il sublime nel cinema si chiama screwball comedy, tradurlo con “commedia sofisticata” rende l’idea a metà. “Screwball” nel baseball è la palla a effetto, si sa da dove parte e non si sa dove arriverà. Se vi volete così male da non averne visto mai uno, cominciate da “L’orribile verità” di Leo McCarey. Short, giusto per chiarire la posta in gioco: il nostro film prediletto del nostro genere prediletto. Non si discute e non si fanno prigionieri.

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C’è New York, ci sono i ricchi, ci sono i vestiti da sera, ci sono i cappelli, ci sono le pellicce, c’è la servitù con la crestina, ci sono le feste da ballo, ci sono Cary Grant e Irene Dunne, ci sono i locali notturni. Tutto uno sfarzo luccicante: siamo nel 1937, al cinema gli spettatori pagavano il biglietto per dimenticare le miserie della grande depressione, non per passare due ore con i disoccupati vestiti di stracci, li avevano anche a casa.

 

Soprattutto, c’è il corteggiamento. Tanto corteggiamento, e della migliore qualità (vale la definizione di Paolo Conte, “lo spettacolo d’arte varia di un uomo innamorato di te”). Irene Dunne e Cary Grant sono marito e moglie, per qualche bugia si trovano sull’orlo del divorzio. Dovranno passare 90 giorni prima che la sentenza diventi definitiva. Il cane – Mr. Smith – è stato assegnato alla signora che durante l’udienza ha nascosto nel manicotto il suo giochino preferito, Cary Grant ha diritto di visita. Ovviamente ne fa uso, anche per spiare la futura ex consorte che intanto pare fidanzata con un ricco allevatore dell’Oklahoma. Uno che a New York non regge più di due giorni, e fuori dal ranch gira scortato dalla mamma.

 

“Fidanzata o fidanzata per sposarsi?”, chiede Cary Grant in un altro film, a una ragazza su cui ha poggiato l’occhio. Qui, l’attore che cominciò la carriera da saltimbanco e funambolo in Inghilterra (era nato povero a Bristol, con il nome di Archibald Leach e la mamma in manicomio) punta ancora sulla comicità splastick. Ed è ancora fresco di slapstick – inseguimenti e capitomboli da cinema muto – anche il regista Leo McCarey: al Locarno Festival, che gli dedica la retrospettiva, abbiamo appena visto “Liberty” con Stan Laurel e Oliver Hardy. Fu lui a mettere insieme la coppia, e a riprenderli nei folli venti minuti in cui tentano disperatamente prima di levarsi la divisa a righe del carcere, poi di scambiarsi i pantaloni, nella fretta Stanlio si è messo quelli di Ollio. Nel 1929 non c’era il Codice Hays, quindi i due vengono sorpresi ovunque si nascondano – anche sull’impalcatura di un grattacielo in costruzione – con i calzoni a mezza gamba e la mutanda in vista, mentre cercano di ricomporsi.

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Il Codice Hays c’era, nel 1937 di “L’orribile verità”, ma i registi geniali come Leo McCarey sapevano cavarsela lo stesso. Il corteggiamento a palla va in parallelo con il sistematico smantellamento delle nuove relazioni che i divorziandi hanno avviato. Contribuisce parecchio Mr Smith: il cane abituato a giocare a nascondino, riporta i cappelli a cilindro che la padrona di casa vorrebbe far sparire. Per sventare il matrimonio di Cary Grant con l’ereditiera, Irene Dunne irrompe spacciandosi per la sorella alcolizzata e ballerina. Poi gli lancia occhiate assassine. Allo scoccare del novantesimo giorno, il tirolese dell’orologio a cucù invece di rientrare nella sua casetta segue la tirolese nella casetta a fianco. Facendo i censori contenti e gabbati.

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