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A Venezia segnali di rinsavimento dopo il #MeToo

Mariarosa Mancuso

I film della Mostra del cinema e le buone idee del direttore Alberto Barbera

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Primi segnali di rinsavimento dopo il #MeToo. “Il giorno che dovrò mettere in concorso un film solo perché girato da una donna cambierò mestiere”, ha chiarito il direttore della Mostra Alberto Barbera durante la conferenza stampa. Anche in questo Venezia batte Cannes: sono anni che sulla Croisette si discute della rappresentanza femminile, e sono anni che il direttore Thierry Frémaux si fa mettere in croce sull’argomento, senza difendere le ragioni del cinema. Cannes ha raccolto le istanze – diciamo così – anche dei distributori francesi, quindi quest’anno ha dichiarato guerra a Netflix. Se n’è avvantaggiata Venezia, dove sono sbarcati “Roma” di Alfonso Cuarón e “22 July” di Paul Greengrass. Erano stati annunciati e sono stati ritirati dopo il diktat: i film in concorso devono uscire in sala (almeno in via di principio, certi titoli a esclusivo uso cinefilo restano estranei agli spettatori che pagano e giustamente pretendono). Netflix produce e porta alla Mostra anche l’ultimo lavoro dei fratelli Coen, “The Ballad of Buster Scruggs”: era una miniserie, ora promossa a film.

 

Per collocazione nel calendario – quest’anno si parte il 29 agosto – e per qualche colpo messo a segno negli anni scorsi, la mostra di Venezia è ora considerata il trampolino di lancio per gli Oscar. Dal Lido è partito “La la land” di Damien Chazelle (sgambettato sul finale da “Moonlight” di Barry Jenkins, che era invece alla Festa di Roma). E da qui sono partiti “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh e “La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro, quest’anno presidente della giuria – con tutta la nostra approvazione, volendo andare al sodo, la ragazza muta innamorata del mostro accende la fantasia più di certi compitini femministi.

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Damien Chazelle ci riprova quest’anno con “First Man”, nel casco di Neil Armstrong che andò sulla luna – ci sono andati, fatevene una ragione – troveremo Ryan Gosling. Barry Jenkins ha scelto invece il Festival di Toronto, per l’anteprima di “If Beale Street Could Talk” (i festival d’autunno – oltre a Toronto e Venezia abbiamo il rampantissimo Telluride, quasi in contemporanea – sembrano in pace ma non lo sono davvero). Risulta ancora disperso il film di Xavier Dolan “La mia vita con John F. Donovan”, per contrasti con la produzione (un altro regista che passerà a Netflix, meno incline a ostacolare i campioni che riesce a catturare).

 

Nel programma, molti film di genere. Dall’horror di Luca Guadagnino, che rifà “Suspiria” di Dario Argento, alla commedia sentimentale di Olivier Assayas (“Double vies”), al western (girato in inglese) di Jacques Audiard, “The Sisters Brothers”. La regista meritevole in concorso si chiama Jennifer Kent, è australiana, nel 2014 aveva girato lo spaventoso “Babadook”: l’uomo nero spuntava dalle pagine di un libro per bambini.

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